“Se la placca eurasiatica e quella nordamericana continueranno ad allontanarsi come stanno facendo, fra un milione di anni l’Islanda sarà diventata due isole separate: una sulla placca nordamericana, una su quella eurasiatica. E gli Islandesi saranno chiamati a decidere se sentirsi europei oppure americani”.
Così stava parlando la Guida dell’autobus turistico su cui ero seduto. Una ragazza giovane: occhi di un azzurro luminoso, capelli lunghi, sciolti e biondo platino. Indossava un k-way con il logo della compagnia per cui lavora e, in piedi di fianco all’autista, teneva in mano il microfono.
Ci ha accompagnato per tutta la giornata, durante uno di quei tour che normalmente sono gremiti di coppie di turisti anziani con molti soldi e poca voglia di sbattersi e abbandonare i comfort di casa, ma che quella volta avevo deciso di prenotare anch’io.
Il viaggio in Islanda
Era l’ultimo giorno di vacanza in Islanda e, non avendo avuto molto tempo per visitare tutto ciò che mi sarebbe piaciuto, avevo scelto di sperimentare una di quelle soluzioni sintetiche che in una dozzina di ore, a bordo di un autobus, consentono di fare incetta di luoghi celebri, fotografie, informazioni e aneddoti sul luogo.
A metà Agosto dell’estate 2017 mi trovavo in Islanda. Mi trovavo là dopo aver preso un volo Milano-Reykjavìk, un’offerta speciale trovata sul web un po’ per caso. Avendo pochi giorni di ferie, ero riuscito a concedermi soltanto una settimana in quella terra desolata e affascinante che da tanti anni volevo visitare.
Avevo scelto di muovermi in autostop (Qui puoi leggere un estratto dello stesso viaggio) per risparmiare e, dopo sette giorni di pollici alzati, tende piantate nel primo spazio disponibile e spesa al supermercato, mi trovavo invece su un autobus turistico, il cui biglietto mi è costato quasi come tutto il resto della permanenza.
Eravamo diretti a Thingvellir, un parco nazionale distante una cinquantina di chilometri dalla capitale, dal 2004 inserito tra i patrimoni dell’UNESCO proprio per il suo interesse culturale da un lato e naturalistico dall’altro.
Già, perché come ci stava illustrando la Guida, il nome Thingvellir significa letteralmente pianura del parlamento; dall’anno 930 fino al 1978 fu infatti il luogo dove l’assemblea nazionale si radunava due settimane all’anno per affrontare e dirimere tutte le questioni di interesse per il paese e la comunità. Così è stato fino al 1978, quando la sede del parlamento è stata spostata nella capitale.
D’altra parte, il luogo è conosciuto e visitato in continuazione perché è sede di una delle più apprezzabili faglie che si sono originate tra la placca nordamericana e quella eurasiatica. Si parla di un tratto lungo circa cinque chilometri all’interno del quale si è creata una pianura di terraferma e acqua.
Pianura che, ci informava la Guida, si sta allargando inesorabilmente, al ritmo di circa due centimetri ogni anno e che rappresenta il segnale che l’isola Islandese si sta espandendo e che fra molti, moltissimi anni, probabilmente non esisterà più, perlomeno per come la conosciamo oggi.
La dorsale medio-atlantica
L’Islanda è la più grande emersione della Dorsale medio-atlantica che è il punto di incontro tra due placche di crosta terrestre. È una zona che a causa dei moti del mantello terrestre (lo strato compreso tra la crosta e il nucleo) è ricca di attività geotermica, sismica e vulcanica.
Quello che succede è che nuova materia risale continuamente emergendo in superficie, trasformandosi in crosta terrestre e andando a conquistare uno spazio per sé, spingendo la placca Nordamericana verso Ovest e la placca Eurasiatica verso Est. Contribuendo quindi a quell’allontanamento tra i due continenti che è ormai cosa nota.
Certo, in virtù della sua posizione unica nel mondo, l’Islanda può vantare un fascino incredibile che molti altri paesi possono soltanto invidiare. Un’isola sperduta e ostile all’insediamento umano, dove gli elementi la fanno da padrone, tra spiagge laviche, ghiacciai immensi a ricoprire i vulcani e sorgenti geotermiche a perdita d’occhio.
Una terra che parla da sola insomma; ma che, a sentire la Guida con cui stavo chiacchierando appena scesi dall’autobus, è destinata a cambiare.
I due centimetri all’anno di spostamento significano – facevo i conti a mente mentre lei parlava – 20 chilometri fra un milione di anni. Significa che fra un milione di anni l’Islanda sarà più larga di 20 chilometri. Ma, proprio perché il movimento delle placche è, oltre a un certo punto, imprevedibile e perché la Terra è ancora e fortunatamente un pianeta “vivo” e in grado di sorprendere, lo spazio che si genera potrebbe essere ricoperto da terra come da acqua.
Oggi è una via di mezzo, ma se l’acqua avrà la meglio, fra molto meno di un milione di anni non avremo più un’Islanda unita, ne avremo due, separate e inchiodate su due placche ben distinte.
– E dovremo scegliere se restare in Europa oppure andare in America.
Mentre lo diceva stavamo percorrendo il sentiero previsto, che in quel punto è in discesa e costeggia la spaccatura, alta ormai una ventina di metri. Lo diceva con una punta di ironia, ma non ho potuto fare a meno di cogliere anche una fievole malinconia nel tono della sua voce. Chissà che cosa sceglieranno gli Islandesi fra un milione di anni, sembrava pensare.
– Tu che cosa sceglieresti?
Domanda troppo scontata, ma come avrei potuto non chiederlo?
– Non so, io mi sento islandese, non mi sento né europea né americana. E poi… fra un milione di anni non ci sarò più, non è importante che cosa penso!
Rideva e ridevo anch’io, con lei.
– Immagina per un momento di essere un’islandese fra un milione di anni e di essere chiamata a scegliere da che parte stare. Per che cosa voteresti?”
Come un referendum? Mi guardava strano.
– Sì, più o meno.
– È una domanda assurda, quindi la risposta non può che essere utopistica.
La Guida, non so nemmeno come si chiamasse, sembrava prenderci gusto e cominciare a stare al gioco.
– Mi auguro che per quel momento l’umanità sarà riuscita a superare l’idea di confine che abbiamo oggi. Mi sento islandese perché ho tratti somatici specifici e perché ho ricevuto alcune basi culturali che se non fossi nata qui non avrei ricevuto.
Niente di più niente di meno. Nessun senso di superiorità, né di inferiorità, verso chi non è islandese. E d’altra parte non combatterei mai per difendere il mio paese. Se fossi nata in Francia, oggi mi sentirei francese, se fossi nata in Italia, come te, mi sentirei italiana. È un semplice caso, no?
– Continua, ti prego.
– Vorrei che un giorno i confini geografici che la natura impone all’uomo, restassero tali. Semplici e fondamentali per quello che sono, senza dare luogo o – peggio – giustificare la formazione di confini politici, frontiere, barriere, muri.
Un tempo Europa e America erano unite, poi la natura le ha divise. Ma se le merci circolano indisturbate da una parte all’altra, perché non possono farlo anche le persone e le idee?
Ecco, sogno, perché in fondo è soltanto un sogno, che l’uomo, anche di fronte alle imposizioni naturali, saprà un giorno riunirsi in una grande e unica comunità, spazzando via non i confini, ma il senso politico che questi hanno assunto oggi.
Che gli islandesi un giorno non debbano più chiedersi se si sentono più europei o americani. Via le nazioni, via le guerre. L’uomo, per l’uomo.
– E come credi di realizzare tutto questo?
– Abbiamo un milione di anni per pensarci, una soluzione la troveremo! Speriamo…
– Voglio sperarci anch’io.
Si allontanò, per raggiungere altri membri della comitiva a cui spiegare le stesse cose che aveva appena spiegato a me, lasciandomi solo a camminare. A camminare proprio su quella che è destinata a diventare una specie di terra di nessuno.
Una lingua di terra o di acqua che potrebbe, un giorno molto lontano nel tempo, avere il potere di spaccare in due una nazione e di segnarne il confine.
“Chissà” è ciò che mi scopro a pronunciare mentre un cartello di fronte a me esorta i turisti a proseguire il tracciato svoltando a destra.