Volete provare un’esperienza originale? Siete alla ricerca di un viaggio introspettivo? Volete mettere alla prova le vostre capacità rigeneratrici e relazionali?
In caso affermativo, la vostra meta è la Scarzuola, un piccolo, ma suggestivo sito, in Umbria, nel comune di Montegabbione (Terni). Una costruzione singolare, dal nome singolare, con un personaggio singolare. Insomma, un insieme molto eclettico.
La Scarzuola: origine
La Scarzuola è un’articolata struttura realizzata dall’architetto Tomaso Buzzi, nato a Sondrio nel 1900, con l’intento di rappresentare la sua città ideale. Il nome deriva dalla scarza, la pianta acquatica con cui San Francesco si costruì una capanna nel 1218 per soggiornare in quei luoghi dove, narra la leggenda, sgorgò un’acqua miracolosa e fu poi edificato un monastero.
Oggi il proprietario della Scarzuola è Marco Solari, nipote dell’architetto ed eccentrico anfitrione nelle visite guidate. Ma procediamo con ordine.
Il complesso architettonico della Scarzuola è stato costruito accanto all’antico monastero francescano, isolato e in prossimità di un bosco, che l’architetto valtellinese acquistò nel 1957.
Dopo qualche anno, soggiogato dalla bellezza di quelle terre e desideroso di dare una svolta radicale alla sua vita, Buzzi trasferì la sua residenza nel convento e, a partire dal giardino dei frati per poi proseguire nell’adiacente versante della collina, iniziò la realizzazione del progetto coltivato da lungo tempo. I lavori procedettero fin quasi al momento della sua scomparsa, avvenuta nel 1981, ma non arrivarono a conclusione. L’opera è ancora incompleta, una sorta di Sagrada Familia di Gaudì.
La struttura
Al primo impatto si ha l’impressione di una complicata struttura che il professionista, o meglio l’uomo Tomaso, ha voluto edificare in piena libertà, scevro da condizionamenti esterni, per appagare un intimo desiderio, per liberarsi di tutte le sovrastrutture accumulatesi negli anni che non riusciva più a sopportare.
Per alcuni aspetti Buzzi rigetta la posizione di rilievo acquisita in seno alla borghesia milanese e romana negli anni a cavallo delle due guerre mondiali. Ritiene quegli ambienti pervasi da un’ipocrisia non più accettabile ed è stanco di giornate frenetiche dense di lavoro, appuntamenti ed eventi. Decide quindi di rinascere a nuova vita in terra umbra, costruendo non più per gli altri, ma per se stesso.
È un esilio consapevole, non certo forzato se solo pensiamo che al suo servizio c’era un nutrito gruppo di servitori.
In questo nuovo ambiente, Buzzi trasferisce in una serie di costruzioni la sua fantasia, la sua bizzarria (in casa non aveva telefono, impianti elettrici e riscaldamento), le sue conoscenze (non solo architettoniche), le sue aspirazioni. Realizza con il tufo una strana e sconcertante cittadella, in cui pone in relazione il divino e il terreno, la morte e soprattutto la rinascita attraverso una sofisticata alchimia di figure, simbolismi, riferimenti, allusioni, paradossi.
“Il mio sogno ad occhi aperti, ricco di significati reconditi, di metafore, di segreti, di ricordi”, così come scriveva Tomaso Buzzi.
La Scarzuola è un complicato intreccio di edifici collegati da zone teatrali, che costituiscono elementi fondamentali nella visione buzziana. Per comprenderne l’importanza basta ricordare che Buzzi definisce la Scarzuola “il mio teatro”.
In effetti il complesso è una grande scenografia, composta da sette teatri, incastonati l’uno con l’altro, di varie dimensioni e con molteplici ribalte, naturali e artificiali, esterne e interne. Rappresenta la metafora della vita dove ognuno di noi, a seconda delle esperienze, dei bisogni, del luogo e del momento, interpreta un ruolo diverso.
Gli spazi scenici sono legati attraverso un percorso a spirale, in cui si scende per poi risalire attraverso numerose scale e colonne.
Un viatico che simboleggia la discesa dello spirito che poi, liberatosi dei pesi materiali, sale leggero.
Il percorso inizia dal giardino del convento/abitazione e, dopo aver attraversato un lungo pergolato, sfocia sull’anfiteatro (teatrum mundi), che presenta un palcoscenico rialzato, delimitato sul lato sinistro dal teatro delle api e a destra dall’Acropoli, composta da tanti edifici sovrapposti. Al centro del palcoscenico che raffigura una nave enorme c’è un grande occhio.
Alle spalle del teatrum mundi si scende verso la torre del tempo per poi raggiungere il tempio della Madre Terra, in cui troviamo un gigantesco busto femminile realizzato da Solari sulla base degli schizzi dello zio. Si prosegue passando dalla bocca della balena di Giona (metafora di morte e rinascita) per giungere alla torre della meditazione e della solitudine; risalito il pendio, si giunge alla porta dell’Amore su cui campeggia la scritta Amor vincit omnia, per sottolineare che l’amore è la forza motrice della nostra vita.
Le successive mete sono il teatro acquatico e il tempio di Apollo, di fronte al quale c’è la torre di Babele che cinge la piramide trasparente e la scala a chiocciola del sapere che riporta all’Acropoli.
L’intero tragitto sottintende un invito metaforico e comportamentale: così come il Buzzi era solito togliersi giacca e cravatta pima di entrare alla Scarzuola, anche l’occasionale ospite dovrà mettersi a nudo per cogliere in pieno l’occasione di un viaggio interiore. Un percorso meditativo e rigenerativo al termine del quale, però, solo pochi eletti troveranno l’essenza vitale.
La volontà di coinvolgere il visitatore in una personale introspezione trova ispirazione nel Polifilo (Hypnerotomachia Poliphili) di Francesco Colonna, il misterioso autore che nel 1499 descrive una città incontrata nel sogno alla ricerca della donna amata, come metafora di una trasformazione interiore.
D’altronde i riferimenti presenti nella Scarzuola sono numerosi, anche se non proprio espliciti. Abbastanza evidente risulta l’accostamento con il giardino di Bomarzo, quello dei mostri, con le ville, entrambe a Tivoli, dell’imperatore Adriano per la piscina, del cardinale Ippolito D’Este per le riproduzioni degli edifici dell’antica Roma, come il Colosseo e il tempio di Vesta, posizionati nell’Acropoli il punto più alto della cittadella.
Ma il riferimento assoluto è Marco Solari, il pronipote di Tomaso Buzzi, che ha ereditato il bene “che nessuno voleva”. Dopo aver conseguito la laurea in Economia e Commercio, ha rinunciato alla carriera in banca per dedicarsi completamente al mantenimento e al completamento delle realizzazioni ideate dallo zio, invece di farle divorare dalla vegetazione, come aveva lasciato scritto l’architetto nel testamento.
Solari vive da oltre 30 anni in simbiosi con la Scarzuola ed è il cicerone, colui che narra le vicende e spiega ai visitatori come interpretare ogni angolo della cittadella. Non immaginatevi però la solita rassicurante guida: le frasi pronunciate sono dissacranti, talvolta sprezzanti, e intervallate dalle immancabili risate.
Sono però l’unico mezzo e la sola voce che consentono di “entrare” nella Scarzuola e di approcciare “l’autobiografia in pietra” voluta da Buzzi, dove si connettono il sacro (il convento) e il profano (la città buzziana). L’unione determina un insieme poliedrico e polivalente concepito come eremo e come luogo di incontro sociale, un po’ castello e un po’ paese: tante facce di un’opera alternativa, oltre il tempo, quasi folle e indecifrabile, che mantiene intatta la sua voglia di stupire.
Come arrivare
La Scarzuola è immersa tra querce e castagne nei boschi di Montegabbione (Terni) nel luogo dove fu costruita una chiesa e poi un convento, affidati entrambi ai frati Minori. Le costruzioni sono legate, come narra la leggenda, al miracolo della sorgente che scaturì accanto alla capanna che San Francesco si costruì intrecciando la scarza (la pianta palustre che serviva anche per impagliare le sedute delle sedie o i fiaschi di vino).
La Scarzuola è isolata per cui occorre raggiungerla in macchina. L’uscita consigliata sull’autostrada del Sole A1 è Fabro, dopo di che si procede in direzione di Montegabbione e quindi verso Montegiove. Occorre fare attenzione alle indicazioni, perché l’ultimo tratto è un sentiero sterrato che si discosta dalla strada provinciale. Sono un paio di chilometri da affrontare a velocità moderata per il fondo pieno di buche e i continui saliscendi.
Tomaso Buzzi
Tomaso Buzzi (Sondrio, 1900 – Rapallo, 1981) è stato architetto (il più colto del Novecento italiano, secondo il critico d’arte Federico Zeri), professore universitario del Politecnico di Milano (Gae Aulenti è stata una sua allieva), personaggio di spicco nel gruppo del Novecento Milanese e fondatore con Giò Ponti della rivista Domus, con il quale collaborò dall’urbanistica al design.
Insomma, un’artista, oltre che professionista, poliedrico che forse non ha avuto il giusto riconoscimento. Negli anni ’30 progetta, ristruttura, arreda palazzi nobiliari e ville della borghesia italiana prima a Milano (casa Borletti, Falck e Villa Necchi Campiglio, recentemente restaurata dal FAI) e poi, a metà anni 50, a Roma (palazzo Ruspoli, teatro La Cometa) per non parlare della palladiana Villa Maser a Treviso e di Palazzo Papadopoli a Venezia.
È richiesto dagli aristocratici, da intellettuali di destra e di sinistra, dagli Agnelli e dai Pirelli, da ecclesiastici e politici. È un uomo di successo, protagonista nella società e nella vita mondana fino a quando il mondo accademico e culturale non lo emargina per quella sua bizzarra, strana, inconcepibile Scarzuola.
Buzzi amava stupire, procedere controcorrente e ha riversato nella Scarzuola tutta la sua concettualità, quale sintesi sublime del suo estro e della sua sapienza. Un progetto folle, dove ha fatto e disfatto, costruito e distrutto e non a caso ha utilizzato il tufo, un materiale che si si sgretola, che quindi prima si plasma e poi si distrugge per essere riutilizzato all’infinito. Un elemento strutturale coerente con la sua visione della vita, dove tutto si miscela, si rimpasta per generare un uomo diverso in un nuovo mondo.
Hanno frequentato la Scarzuola personaggi come il pittore spagnolo Salvador Dalì e la pittrice argentina Leonor Fini.