New York, settembre 1909. Due importanti quotidiani della Grande Mela mettono in prima pagina uno scoop clamoroso a distanza di una settimana uno dall’altro:
“Il Polo Nord viene scoperto dal dottor Frederick A. Cook” – New York Herald del 1 settembre 1909.
“Peary scopre il Polo Nord dopo otto tentativi in 23 anni” – New York Times del 7 settembre 1909.
Artide, la regione più a nord della Terra. Duemila anni di esplorazioni e avventure, scoperte e tragedie. I primi documenti che ne attestano vagamente la storia sono del III secolo a.C. Un greco, Pitea, nel tentativo di trovare miniere di stagno raccontò di aver raggiunto un mare ghiacciato. Sentì dalla popolazione locale parlare della misteriosa terra di Thule, ancora più a nord. Dopo sei giorni di navigazione, raggiunse una terra sul bordo di un mare ghiacciato, e descrisse quello che con ogni probabilità è l’aurora boreale e il sole di mezzanotte.
Un millennio dopo i vichinghi nelle loro scorribande dalla costa della Norvegia approdarono in Greonlandia e da lì più ad est in quello che ancora non sapevano fosse un nuovo continente. Contrariamente a quanto abbiamo imparato alle scuole dell’obbligo, il primo europeo ad avvistare l’America settentrionale fu Gunnbjörn Ulfsson. In un viaggio dalla Norvegia all’Islanda perse la rotta e si imbatté in quelli che sono diventati gli Scogli di Gunnbjörn, vicino alla costa della Groenlandia. La prima costa del Nuovo Mondo, 500 anni prima del viaggio di Colombo.
L’era delle grandi esplorazioni ha riempito la cartina geografica con nuove rotte tra il Vecchio Continente e nuove terre inesplorate. Non solo mari caldi: il mitico Passaggio a Nord-est è l’itinerario che dal Mare di Barents – tra Norvegia e Russia – arriva allo Stretto di Bering – che divide Russia e Stati Uniti. Una nuova via per le Americhe e per l’Asia, navigando in senso opposto e ad altre latitudini rispetto alle caravelle di Colombo. Caboto, Barents, Bering e il nostro Giacomo Bove: in molti hanno tentato la Rotta del Mare del Nord, senza però riuscirci. Il primo esploratore a percorrere completamente il passaggio è stato lo svedese Adolf Nordenskjöld. Partito da Göteborg, il 4 luglio 1878, ha raggiunto con la sua baleniera il porto di Yokohama, più di dieci mesi dopo.
Dopo tre secoli di scoperte ed esplorazioni, restava un’ultima impresa per gli avventurieri, spesso mascherati da geografi, del mondo. Raggiungere il Polo Nord, il “Grande Chiodo”: il punto più a nord del pianeta.
Il 6 luglio 1908, la nave Roosevelt parte da New York con a bordo Robert Peary. Il comandante con sè una squadra di 22 uomini, 50 eschimesi e 250 cani da slitta. Alle spalle più di vent’anni di esplorazioni nei grandi freddi. Sul diario di bordo annota:
“A un certo punto durante queste marce e contromarce, ero passato oltre o molto vicino al punto in cui nord e sud e est e ovest si fondono in uno”.
E’ il 9 aprile 1909. Non appena ritorna alla civiltà, tre mesi dopo, il 6 settembre 1909, da un ufficio telegrafico del Labrador, Peary annuncia al New York Times la conquista del Polo Nord. Con sgomento scopre che pochi giorni prima un altro esploratore ha comunicato di essere riuscito nella medesima impresa, un anno prima. Si chiama Frederick Cook, è medico, ha un passato tragico e misterioso alle spalle che lo ha portato ad essere compagno di Peary in una delle sue esplorazioni artiche.
Nessuno dei due è in grado di apportare sufficienti prove scientifiche alla propria impresa, e per un po’ di tempo prosegue la diatriba, fomentata dalla stampa. I dubbi più grossi ricadono su Cook, per niente nuovo alla frode e alle false imprese. Anni addietro aveva già dichiarato di aver scalato la montagna più alta del Nord America, per venire poi sbugiardato. Se i giornali alimentano i dubbi ripescando alcune accuse di frode fiscale, gli Inuit che avevano accompagnato Cook fugano ogni incertezza sulla spedizione, dichiarando di non aver mai raggiunto il Polo, avendo viaggiato per giorni verso sud e non verso nord e di non avendo mai perso di vista la costa. Poco dopo Cook, assillato dai creditori, vende la sua confessione a un Magazine. Il congresso americano dichiarò allora ufficialmente Peary il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord e lo promosse ammiraglio. Si conclude così la querelle, per il momento.
Nei decenni successivi esploratori e geografi hanno continuato a dubitare della conquista di Peary, contestando soprattutto le tempistiche dell’impresa. Nel 1989 l’inglese Wally Herbert studiando i diari di bordo, si accorge di come fossero pieni di discrepanze. Arriva a dichiarare che Peary non raggiunse mai davvero il Polo Nord. Passano vent’anni e nel 2005 un altro esploratore inglese, Tom Avery, cerca di ricreare l’impresa per dimostrarne la veridicità. Con le stesse slitte di un secolo prima raggiunge il Polo Nord in 36 giorni e 22 ore, cinque ore meno di Peary.
Ma il dubbio più importante sull’identikit dell’ uomo che per primo raggiunse il Polo Nord è legato a una persona molto vicina a Peary: il suo cameriere personale Matthew Henson. Sembra che quello storico 9 aprile 1909 Peary fosse stato costretto a fermarsi all’ultimo campo base (a circa 8 chilometri dal Polo): non sarebbe stato in grado di camminare, forse perché troppo provato fisicamente, o forse per un principio di congelamento alle dita dei piedi. Henson andò in avanscoperta, insieme a quattro Inuit: Ootah, Seegloo, Egingway e Ooqueah. Quando tornò da Peary gli annunciò:
“Penso di essere il primo uomo che si sia seduto in cima al mondo”.