Bella e selvaggia. La Tunisia del sud, alle porte del deserto, si presenta senza filtri nella sua natura primordiale e istintiva, mostrando i suoi tesori culturali, artistici e naturalistici così come li ha conservati.
Qui le case bianche non contrastano l’azzurro del mare ma sono i colori vivaci delle stole di cotone e delle scarpe prodotte dagli artigiani di Douz a opporsi alle tonalità predominanti delle sfumature di ocra.
Chénini, Ksar Ghilane, Douz, Tozeur, Tamerza e Matmata saranno le tappe del nostro itinerario, “le lunghe distanze – recita il programma di viaggio – verranno coperte con le macchine, le medie a piedi”.
È un modo insolito per visitare la Tunisia, almeno per gli italiani, noto popolo di pigri e “comodoni”, che associano la Tunisia alla vacanza al mare, e raramente abbinandola a un’escursione nel deserto di alcune ore.
Originale quindi è anche il nostro abbigliamento, quando ci presentiamo armati di bastoncini, zaini e scarpe da trekking all’aeroporto in partenza per Tunisi, scalo intermedio per Djerba.
Il paese dei datteri, delle arance e dei gelsomini, dopo gli attentati di qualche anno fa, stenta a riconciliarsi con il grande turismo, che registra scarsi afflussi e per questo il volo diretto da Roma a Djerba non è ancora stato ripristinato. Eppure è un Paese tranquillo e negli otto giorni di permanenza, non ho mai avuto una sensazione, neanche piccola, di insicurezza o pericolo.
Chénini, alle porte del deserto
Chénini è un villaggio troglodita berbero, sorto, per motivi di difesa, sul crinale del rilievo. La costruzione risale al XII secolo ed è un esempio ben conservato di granaio fortificato (ksar). Si sviluppa su più livelli e le abitazioni, le botteghe artigiane, i magazzini, le cantine, tutti gli ambienti del villaggio sono scavati nella roccia o meglio “ricavati” dalla roccia; le porte sono realizzate con i tronchi delle palme.
I livelli più alti non sono più abitati da tempo e anche se le strutture sono deteriorate dagli agenti atmosferici, è molto piacevole passeggiare nei vicoli, salire e scendere su percorsi o scale ricavate dalla roccia.
Dalla parte più alta del villaggio si può godere di una splendida vista sulla valle. Sono evidenti gli effetti erosivi del mare, che, prima dei cambiamenti geologici, ricopriva tutta la valle.
I livelli più bassi sono ancora abitati e utilizzati. Nel paesaggio color terra bruciata, spicca per il suo bianco, la moschea dei Sette Dormienti.
Sul versante opposto, tutto intorno al villaggio si trovano le sepolture: si tratta di tumuli funerari berberi. Il sito è piuttosto disordinato e, se non si conosce la chiave di lettura, non è facile distinguerli dal resto del paesaggio. Il tumulo con una pietra indica la sepoltura di un uomo, con tre pietre quella di un bambino e con due quella di una donna.
Poco distante c’è il Ksar Hahada, altro villaggio trogloditico, oggi monumento nazionale, che è stato il set cinematografico dei primi episodi della saga di Guerre Stellari (Star Wars), con le strade lastricate e le porte di ingresso in legno di palma. Una parte del villaggio antico è stata adibita ad albergo e le stanze sono ricavate nelle grotte.
È fine ottobre e le temperature massime vanno da 30 a 35 gradi. Ci avviamo verso l’oasi di Ksar Ghilane, una delle porte del Grande Erg Orientale, dove una sorgente di acqua termale consente un piacevole bagno ristoratore; la temperatura dell’acqua è di circa 34° e si rinnova velocemente. A circa 2 km dall’oasi, in direzione sud-est, si trovano i ruderi di una roccaforte: è quel che rimane della fortezza di epoca romana di Tisavar.
Si può raggiungere la fortezza con una piacevole camminata nel deserto. Subito a ridosso dell’oasi, infatti, inizia il deserto sabbioso, con una serie di dolci, incontaminate dune di sabbia, piacevoli da percorrere. La sabbia, di colore terra bruciata, ha la consistenza del borotalco. Perciò, osate, toglietevi le scarpe e camminate a piedi nudi, almeno per un tratto.
Nel deserto si può dormire nei campement, campi tendati ben attrezzati e confortevoli; ce ne sono anche nell’oasi di Ksar Ghilane, ma noi abbiamo dormito in quello di Guerba. Si può anche fare la doccia, ma non c’è acqua calda e inoltre fate attenzione, perché durante la notte le temperature scendono intorno allo zero perciò, anche se al campo ci sono le coperte, portatevi un ottimo sacco a pelo e non avrete problemi.
Il forte e la linea di confine romana
Il forte di KsarGhilane / Tisavar fa parte degli elementi che costituivano la cosiddetta linea di confine dell’impero romano del secondo secolo d.C. costituita da muraglie, di fossati, di forti, di fortezze, di camminamenti di guardia e di abitazioni civili.
Una linea che si estendeva per 5.000 km e andava dalla costa atlantica a nord della Gran Bretagna, attraversava l’Europa fino al Mar Nero e, da lì, fino al Mar Rosso e all’Africa del Nord, per tornare a chiudersi sulla costa atlantica.
In Tunisia la linea di confine romana ha più l’aspetto di un sistema di sorveglianza del territorio e di controllo degli spostamenti delle persone che di una linea di difesa contro una minaccia militare effettiva. Nel periodo di massima espansione dell’impero romano, l’area delimitata dalla linea di confine aveva un’estensione di circa 80.000 km2 e andava dai monti di Gafsa al nord fino al deserto del Grand Erg a sud.
Il Forte di KsarGhilane/Tisavar è stato edificato su una un’emersione rocciosa che domina le prime dune dell’Erg orientale durante il regno dell’imperatore Commodo. È una costruzione a pianta rettangolare (30 metri per 40) con muri perimetrali di circa 4 metri di altezza ad angoli arrotondati. Sulla sommità dei muri perimetrali c’era il camminamento di guardia, all’interno del forte diversi ambienti e un tempietto di Giove.
Nei secoli successivi il forte è stato utilizzato in diversi modi e da ultimo dai francesi, come prigione durante il confitto della seconda guerra mondiale.
Douz, Tozeur e le oasi di montagna
Il mattino seguente ci aspetta una bella camminata nel deserto. Qui la sabbia è più chiara, ma la consistenza è sempre quella del borotalco.
Arriviamo a Douz, dove molti artigiani producono scarpe. La piazza principale, ormai adibita a parcheggio per le macchine, è un enorme quadrato delimitato dai portici, al disotto dei quali ci sono tutte le botteghe artigiane.
La tappa successiva è Tozeur, il paese dove Battiato ha vissuto per circa due anni, ed è qui che si è ispirato quando nel 1984 ha composto la canzone “I treni di Tozeur”; ascoltarla in quei luoghi fa tutto un altro effetto. Per arrivarci attraversiamo il lago salato di Chott el Jerid.
Si tratta di una forte depressione che si estende da Hèzoua a ovest fino a Kebili a est per 120 km tutta coperta di sale, attraversata da un’unica strada che va da Tozeur a Kebili.
Il centro storico di Tozeur è davvero grazioso: le abitazioni costruite con mattoncini di argilla, un dedalo di vicoli stretti che si alternano a portici, moschee e, infine, la piazza del mercato.
A Tozeur ci sono anche tante zanzare, ma si può sopravvivere. A 50 km da Tozeur si trovano le oasi di montagna di Tamerza (oasi inferiore), di Mides (oasi di mezzo) e di Chebika (oasi superiore).
A partire da Tamerza, le oasi si possono raggiungere anche percorrendo i sentieri di montagna, ma bisogna andarci con la guida del posto perché non sono segnati.
Il primo tratto del percorso verso l’oasi di Mides è su un pendio non molto ripido. Si passa attraverso una piccola oasi piena di datteri. È il periodo della raccolta e gli insetti diventano fastidiosi.
Le rocce che costituiscono l’ossatura delle montagne sono ricche di fossili, oltre alle conchiglie di vario tipo, si trovano anche i tronchi fossili. Questi luoghi hanno fatto da cornice alle scene girate nel deserto del film “Il paziente inglese”.
Proseguiamo attraverso la schiera di letti di roccia stratificata della spettacolare e profonda gola di Uadi El Udei, sagomata dall’erosione del vento e dell’acqua.
La gola è praticabile in assenza di acqua e diventa pericolosa anche quando ci sono le piogge in Algeria, perché il livello dell’acqua sale velocemente. Ci troviamo, infatti ad appena 6 km dal confine con l’Algeria. Alla fine della gola si vedono, al disopra della parete rocciosa, i ruderi del villaggio di Mides, ormai disabitato.
Risaliamo il pendio ripido e raggiungiamo il centro del villaggio.
Per andare all’oasi di Chebika, l’oasi superiore, c’è una bellissima e suggestiva traversata, fatta di divertenti saliscendi tra le cime del deserto montuoso. Si arriva all’oasi nel pomeriggio e dopo tutta la giornata sotto il sole è davvero piacevole rinfrescare mani e piedi alla sorgente.
Interessante è il vecchio villaggio di Tamerza, abbandonato dopo l’alluvione del 1969, con l’antica moschea, perciò non perdetevelo.
Le abitazioni di Matmata
Ultima tappa Matmata, antico villaggio berbero di montagna caratteristico per le case scavate nella roccia . I berberi, lo avevamo già visto a Chenini o a Ksar Hadada, dove la roccia lo permetteva, realizzavano le proprie abitazioni scavando la roccia friabile.
Le diverse grotte tra loro comunicanti, costituivano gli ambienti della loro abitazione. La roccia, ottimo isolante termico, li proteggeva dal calore del sole di giorno e dalle basse temperature della notte. Era una tecnica piuttosto diffusa, che venne importata anche in Italia, proprio dagli arabi.
A Matmata c’è un’ulteriore particolarità: per difendersi dai predoni, gli abitanti del posto costruirono le proprie abitazioni sotto terra, nascondendole alla vista di estranei, con una tecnica piuttosto articolata.
La tecnica di realizzazione delle abitazioni di Matmata prevedeva lo scavo verticale dei rilievi di roccia, verso il basso, per creare un cortile interno; dal cortile interno, su più livelli tra loro anche comunicanti con scale, venivano scavate le “grotte”, orizzontalmente questa volta, che costituivano gli ambienti delle abitazioni.
Lo scavo del cortile interno e delle pareti ad esso prospicienti, veniva sagomato per raccogliere la scarsa acqua piovana in un serbatoio.
Anche gli arredamenti venivano realizzati scavando la roccia; per i letti, per esempio, si scavava la roccia tutta intorno, fino ad ottenere un parallelepipedo senza soluzione di continuità con il pavimento. Spesso sotto il letto veniva ricavato un ripostiglio scavando una piccola grotta. Stessa tecnica veniva utilizzata per le scansie e i pianali.
Si tratta di una tecnica opposta alla nostra: mentre noi per costruire apportiamo del materiale, loro semplicemente lo toglievano, scavando. L’accesso all’abitazione, o al gruppo di abitazioni, era costituito da una galleria, chiusa con una porta che per motivi di difesa veniva il più possibile nascosta.
Matmata, oltre ad essere una testimonianza importante della civiltà troglodita, è famosa per essere stato il set naturale dei primi episodi della saga di Guerre Stellari (Star Wars). Alcune di queste abitazioni troglodite vennero acquistate dalla produzione per l’allestimento del set. Finite le riprese, l’impianto venne trasformato in albergo, l’hotel Sidi Driss.
Trogloditi sono state definite le persone che vivevano in case costituite da grotte artificiali tra loro comunicanti; invece di esaltarne la genialità, oggi il termine troglodita viene paradossalmente utilizzato in senso denigratorio.
I dromedari
Il dromedario è decisamente l’animale simbolo del deserto. Si incontrano facilmente anche nei campement e ai bordi delle città e delle strade.
Per sopravvivere negli ambienti desertici ha modificato, nel corso della sua evoluzione, la propria struttura fisica adattandola alle ostili condizioni climatiche, nelle quali mostra ormai di vivere in perfetto equilibrio; per esempio la gobba, che rappresenta una riserva di grasso, e le labbra spesse e pronunciate, che gli consentono di nutrirsi di piante grasse e spinose, di cui è ghiotto.
Le narici, poi, si chiudono ermeticamente durante le tempeste di sabbia e i larghi zoccoli evitano che il dromedario affondi le zampe nella sabbia poco addensata. Inoltre, la sua temperatura corporea varia da 34 a 42 gradi per minimizzare la sudorazione, tollera perdite di liquidi superiore al 30% (il 15% uccide la maggior parte dei mammiferi) e si reidrata rapidamente bevendo fino a cento litri di acqua in soli dieci minuti.
È un animale socievole e vive in gruppo di dimensioni variabili da due a venti esemplari, costituito da femmine, da adulti sessualmente immaturi, da giovani e da un maschio dominante. Marciano guardando il sole per tenere in ombra il retro della loro testa, perciò la loro traiettoria è curva, proprio come quella del sole.
Il dromedario ricorda i momenti belli e i momenti brutti che ha vissuto. Se subisce un torto da qualcuno, animale o uomo che sia, quando lo incontra di nuovo, anche se è passato tanto tempo, si vendica facendogli ogni tipo di dispetto.
Il dromedario piange, manifesta la propria tristezza piangendo con lacrime vere quando, per esempio, il suo pastore cambia, o se lo allontana dai suoi piccoli o dal suo gruppo.