Dall’827 al 1072 la Sicilia fu dominata dagli arabi, che scelsero Palermo come sede centrale del nuovo emirato islamico. Quei duecento anni furono forse il periodo di maggiore splendore in tutta la storia della città, trasformandola da piccolo porto a capitale mediterranea. Sotto gli arabi Palermo arrivò a contare più di 250mila abitanti, quando a Roma e a Milano non si superavano i venti o trentamila, e vennero costruite trecento moschee.
Furono anni di intense trasformazioni culturali e sociali che hanno lasciato influenze rintracciabili ancora oggi nel linguaggio, nella toponomastica, nella gastronomia, nell’urbanistica della città e nelle coltivazioni agricole circostanti.
Gli arabi portarono le palme, gli agrumi e le spezie, le mandorle e il gelsomino, lo zibibbo e i pistacchi, il cous cous e la cassata, i cannoli e le arancine.
Delle moschee, dei giardini e degli splendidi palazzi di quell’epoca oggi rimane poco o niente, ma nei successivi interventi architettonici sono ancora evidenti le impronte arabe, anche se a cancellarle ci provarono in tanti, imponendo i loro stili: bizantini, normanni, svevi, spagnoli, francesi e piemontesi.
Le ritroviamo negli archi a ogiva e nelle merlature in pietra della cattedrale, costruita sulla distruzione della principale moschea, negli edifici a cubo (come il palazzo della Ziza), nelle cupole a forma di sfera (chiese di San Cataldo e San Giovanni degli eremiti). Le opere architettoniche degli arabi non interessarono solo la superficie ma anche la parte sotterranea della città, dove furono scavati canali percorsi dalle acque della falda che attraversavano il sottosuolo per decine di chilometri, creando una rete idrica che alimentava la fornitura di acqua alle abitazioni, alle fontane e ai giardini, fino ad irrigare le coltivazioni agricole che si sviluppavano attorno alla città.
Questa rete di strette gallerie sotterranee, complessa opera di ingegneria idraulica, è ancora oggi presente e forse non adeguatamente sfruttata. Ha mantenuto l’antica denominazione araba di qanat e in alcuni tratti è visitabile (tra i tanti e più rinomati il Gesuitico basso, il Gesuitico alto e l’Uscibene, in cui è presente una curiosa Camera dello scirocco).
Il Qanat del Gesuitico alto
Tra i cunicoli oggi accessibili abbiamo scelto di esplorare il Gesuitico alto, che prende il nome dalla Compagnia religiosa che nel XVII secolo fu proprietaria dei fondi sovrastanti e contribuì ad ampliare la rete sotterranea che gli arabi avevano iniziato seicento anni prima. Senz’acqua non può esserci alcuna forma di vita, né garanzie per la sua conservazione.
Gli arabi, le cui terre d’origine soffrono di carenza di acqua, lo hanno sempre saputo e si sono molto prodigati per evitarne gli sprechi. Così nascono i qanat, le canalizzazioni idrauliche che intercettano, a diverse profondità (chiamati livelli di falda), l’acqua e la convogliano in parte per gli usi domestici e in parte per gli usi agricoli, senza la preoccupazione dell’evaporazione, favorendo così le coltivazioni in ambienti quasi proibitivi per la temperatura e l’irradiazione solare.
Questa tecnica, di origine orientale, conosciuta già prima dell’Impero Romano d’Oriente in Persia e presente nei paesi arabi mediterranei, veniva eseguita da esperti scavatori di pozzi, “maestri d’acqua” chiamati muqanni.
Anche se vengono tutti comunemente definiti qanat, non tutti hanno la caratteristica funzionalità completa, ovvero lo sbocco esterno. A Palermo ne esistono di vari tipi e di diversi periodi; coprono un esteso arco temporale che varia dalle dominazioni arabe medioevali del X e XI secolo, sin quasi ai primi decenni del XX secolo.
Il qanat Gesuitico Alto, si sviluppa per 1.050 metri nel sottosuolo del quartiere di Altarello, intorno al fondo Micciulla, la via Nave e i territori agricoli circostanti, a valle delle sorgenti del Gabriele. L’inizio della sua costruzione può farsi risalire al XV secolo ma, gli approfondimenti e gli ampliamenti appartengono a un periodo riconducibile al possesso dei Gesuiti intervenuti dal XVII al XVIII secolo. Sicuramente è di tecnica araba ma di probabile realizzazione siciliana.
Il Gruppo speleologico del CAI Sezione di Palermo, che l’ha esplorato e rilevato, e che ancora continua a studiarlo di concerto con la Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Palermo e l’Azienda Municipale Acquedotto di Palermo, gestisce la divulgazione del sito, accompagnando gli interessati, su prenotazione, a visionare e percorrere il tratto più significativo di tutto il complesso, attraverso un suo referente, l’istruttore nazionale di speleologia Totò Sammataro.
Oltre ad assistere direttamente con una assicurazione dinamica lungo la discesa e risalita del pozzo iniziale, il Gruppo speleologico fornisce il casco con illuminazione, gli stivali, l’imbracatura e la giacca impermeabile (a chi ne è sprovvisto), perché ci si bagna. Completamente.
La temperatura costante di 18°C dell’ambiente sotterraneo e di 12°C dell’acqua, sia d’estate che d’inverno, consente un piacevole refrigerio dalla calura estiva e un divertente diversivo in inverno.
L’acqua, che sgorga dalle sorgenti e allaga il condotto, ha un’altezza variabile: da qualche centimetro (in tratti molto brevi) fino a 40. Certi che, prima o poi, vi entri negli stivali (al riguardo vi consigliamo un modo pratico per togliere l’acqua dagli stivali, sollevando il piede all’indietro e piegando il ginocchio) e che vi bagni anche fino alla vita, non c’è motivo di indugiare quando, lasciato l’ultimo gradino della scala in ferro, bisogna affondare i piedi nell’acqua.
Il cunicolo è a una profondità di circa otto metri sotto il livello della strada e ha una larghezza pressoché costante di circa 70 centimetri. L’altezza media è superiore ai due metri, con tratti di quasi quattro metri e altri di soli 150 centimetri, da affrontare con il busto inclinato in avanti.
Il livello dell’acqua è generalmente di 40 centimetri ma, in alcune zone, è presente un forte stillicidio. Lo ripeto, è garantito: ci si bagna.All’inizio del percorso, proprio sopra la nostra testa c’è il primo livello del canale, dal quale scende una grande quantità di acqua.
La galleria, protetta dalle pareti verticali, si dirama allegramente nei sotterranei alternando tratti diritti a curve, ora a destra ora a sinistra e a continui serpeggi. Le pareti e la copertura, in alcuni tratti con la roccia a vista e in altri ricoperti da una costruzione in conci di calcarenite, hanno dimensioni tali da consentire di proseguire agevolmente; siamo al secondo livello del qanat.
La formazione rocciosa che ne ha consentito la realizzazione è la calcarenite, una roccia sedimentaria formata da parti ossee dei molluschi marini e sabbia, friabile e facilmente scavabile. Sulle pareti, nei tratti dove l’acqua scorre continuamente, si trovano concrezioni di calcite e piccole stalattiti. Se si osservano più attentamente le pareti si vedono incastonate diverse conchiglie. L’acqua è limpidissima e scorre tranquilla perché la pendenza del canale è solo di qualche percento. Vi sono sorgenti laterali che lo alimentano con continuità.
Piccolo capolavoro di ingegneria idraulica, i qanat venivano realizzati definendo il punto di origine (dove si intercettava la falda o la sorgente) e quello di arrivo, dove si voleva condurre l’acqua. Lungo la traiettoria che univa questi due punti, venivano scavati, a distanza più o meno costante, dei pozzi utilizzati per la lavorazione e la ventilazione (pozzi seriali o discenderie).
Lo scavo in orizzontale, a partire dalle discenderie, veniva praticato, nelle due direzioni opposte.Dove la calcarenite non omogenea lasciava spazio a formazioni rocciose più dure, compatte e difficilmente scavabili, il cunicolo era realizzato nelle dimensioni minime e indispensabili al passaggio, pertanto veniva ristretto o diminuito in altezza.
Quando la falda si abbassava, veniva approfondita la base del cunicolo stesso realizzando il livello inferiore, collegato a quello superiore con un salto di quota. Sull’ultimo tratto del percorso un piccolo salto di circa un metro e mezzo collega il secondo livello del canale al terzo. Quest’ultimo si percorre ancora per un piccolo tratto fino alla base di altro pozzo e da qui, non potendo proseguire per la presenza di un motore di sollevamento, si torna indietro. E’ inverosimile vedere tanta acqua, nel sottosuolo della citta di una regione che denuncia continuamente problemi di siccità. L’estate è alle porte ed è forse il periodo migliore per una visita ai qanat.
Informazioni utili
La prenotazione della visita è obbligatoria e si può effettuare telefonando alla sede del CAI di Palermo tel. 091.329.407 oppure contattando direttamente Totò Sammataro al numero 349 847 8288.
Vi consigliamo di portare un cambio integrale di indumenti (ci sono due spogliatoi, un po’ spartani ma utili, per cambiarsi), una giacca impermeabile con cappuccio, un paio di calzettoni personali per calzare meglio gli stivali e una bandana da usare sotto casco.
L’ingresso del qanat è al Baglio Micciulla, raggiungibile percorrendo la via Giuseppe Pitrè (lato monte del Viale Regione Siciliana), sino alla seconda traversa a sinistra (via Madonna del Soccorso) dove svoltare. Successivamente andare a destra e subito a sinistra per via Micciulla, qui proseguire sino a un bivio, girare a sinistra sino al Baglio dove, all’esterno destro, accanto a una fontana, vi è la casamatta AMAP. Si consiglia di posteggiare poco prima di quest’ultimo bivio, poiché nei pressi del Baglio non vi è posto, e proseguire a piedi.
Testo e foto di Patrizia Cicini e Totò Sammataro