Tutti lo abbiamo vissuto, tutti conosciamo quella sensazione agrodolce. Da un lato si è soddisfatti, sazi delle esperienze vissute, specialmente dopo un lungo viaggio, e pronti per tornare a sentire l’odore di casa. Sì, perché per me ogni casa ha un odore particolare, personale e intimo. È come una sensazione primordiale, che percepisci mentre stai aprendo la porta, mentre varchi l’uscio.
Quell’odore, la maggior parte delle volte in cui ritorni da un viaggio, riesce magicamente a compensare quella sensazione malinconica che intrinsecamente ritroviamo in ogni ritorno, quel vuoto che ti lascia un viaggio che si conclude, ma che avresti magari voluto continuare con un’altra settimana, con un’altra tappa. Alla fine, però, l’odore di casa e tutto ciò che viene dopo riescono a trasformare il viaggio che si è concluso, a farlo passare alla fase successiva della sua vita, quella appartenente al nastro dei ricordi. Ed è proprio anche grazie a questo nastro che nasce lo stimolo per il viaggio successivo. Passa del tempo, scopro una nuova meta, mi informo, faccio lo zaino e parto.
Ma non è sempre così.
Cosa succede quando fuori dalla tua città e dal tuo paese ci rimani molto più a lungo rispetto alla durata media di un viaggio? Cosa succede quando per studio o lavoro passi un anno fuori dal bel paese? Le cose cambiano, la tua vita continua lontano da quella che la tua testa dipinge come “casa”. E a un certo punto, quasi all’improvviso, quasi quando non te lo aspettavi più, controlli il calendario ed è già il momento di tornare. Fai i bagagli, prendi un aereo e vai… ma dove? Stai tornando a casa o te la stai lasciando alle spalle?
Quando avevo diciassette anni, durante il mio quarto anno delle superiori, tra il 2011/2012, ho vissuto a Little Rock, la capitale di uno degli stati del profondo sud degli USA. Quell’anno mi ha inevitabilmente cambiato la vita. Immaginate un liceale catapultato in un mondo e una cultura largamente differenti da quella italiana, che si ritrovava a vivere e studiare in una high school che fino a quel momento aveva visto solo nei film. Oltre a tutte le meravigliose esperienze che ho potuto fare durante quell’anno e alle persone che ho potuto conoscere, un anno in un paese tanto diverso dal mio, come sono gli Stati Uniti, mi ha fatto capire quanto scoprire ed esplorare nuove culture, da quel momento in poi, sarebbe stata una prerogativa nella mia vita. Quando sono tornato a Milano, ho subito quello che viene definito il contro shock culturale. Se quando arrivi negli States hai bisogno di tempo per adattarti al loro tipo di vita e quindi alla loro cucina, alle diverse regole famigliari, ai comportamenti da tenere a scuola, ti ritrovi spiazzato anche quando torni a un ambiente che ti era famigliare, ma che, per l’anno che avevi appena passato, non sei più abituato a considerare come casa. Poi il tempo passa, lentamente e faticosamente inizi ad accettare che devi finire il liceo e, una volta finito, che le università in America costano troppo anche con delle borse di studio parziali. Allora rientri in quella che è la tua vita italiana e piano piano ti riappropri dei tuoi spazi, dei tuoi posti, della tua casa e, soprattutto, del suo odore. Quindi si potrebbe pensare che il rientro da un anno di vita all’estero è semplicemente un processo analogo a quello del rientro da un viaggio, ma più complicato e più lungo e, effettivamente, in alcuni casi potrebbe anche essere così definito.
Ma, ancora una volta, non è sempre così.
L’anno scorso sono partito per Madrid, con più timore che certezze, con mille domande e poche risposte e, forse, anche per questo il risultato finale è stato differente rispetto a quello dell’anno negli States. Madrid non è stata da subito una matrigna buona, ho dovuto conquistarmi il suo amore. Se a Little Rock ero ancora un bambino e tutto mi veniva spiegato e servito su un piatto d’argento, a Madrid ero già adulto e ho dovuto iniziare a vivere la mia vita.
Questo, però, mi ha portato a vivere la Spagna e le sue tradizioni come mai avrei pensato di poter fare prima di partire. Se di Little Rock non ho mai imparato a memoria le strade, a Madrid giro per il centro come se fosse il mio salotto, conosco vie e scorciatoie, conosco i vicoli più belli e quelli da evitare, ma, ogni giorno, ero in grado di scoprire qualcosa di nuovo. Mangiare alle dieci di sera, imparare una lingua che non conoscevo, imparare delle tradizioni che paiono tanto simili alle nostre, ma che in realtà sono tanto diverse, sono tutte sfide che ho affrontato da solo, senza paracadute, senza rete di sicurezza. Ho vinto i miei timori e la città mi ha ricompensato. E poi a Madrid ho incontrato lei, una di quelle persone che con uno sguardo e un sorriso sono in grado di cambiarti la vita, di stravolgerla come una tempesta estiva sconvolge un caldo e calmo pomeriggio di sole. Il giorno che sono partito per tornare a Milano lei era lì in aeroporto, a salutarmi. Io avevo lo zaino in spalla e una stretta alla gola. Mentre camminavo lento verso i controlli, nella mia mente c’era spazio solo per una domanda: sto tornando a casa, o la sto lasciando alle spalle?
Il rientro in Italia è stato ovviamente difficile, anche perché ho dovuto reinserirmi nel mio percorso di studi universitari e non ho avuto troppo tempo per fermarmi a pensare. Ma ogni volta che mi ritrovo in aeroporto, davanti al cartello degli arrivi o delle partenze, ripenso a quell’attimo, al momento in cui stavo lasciando Madrid, ma in cui non ho mai lasciato lei, e mi viene da sorridere, ripensando a tutto quel tempo passato a pensare e a chiedermi dove fosse veramente la mia casa.
Casa è dove stai bene, dove la tua vita ti porta a stare e dove puoi riuscire a stare con lei. Ogni partenza può essere un ritorno, come ogni ritorno può essere una partenza, basta affinare il naso e iniziare a cercare l’odore di casa.