È da qualche giorno che i giornali di tutto il mondo titolano “John Allen Chau, missionario ventisettenne ucciso a frecciate nell’isola di North Sentinel, dove voleva cristianizzare gli indigeni sentinelesi”.
Molto si è detto su questo giovane, la BBC lo scorso 21 novembre titolava: “John Allen Chau: Who was US man killed in remote islands?”.
In pochi però si sono chiesti: cos’è North Sentinel, chi sono i sentinelesi?
L’Isola di North Sentinel
L’Isola di North Sentinel è una delle Isole Andamane nella parte nord-orientale dell’Oceano Indiano. Qui vive una tribù di indigeni chiamati sentinelesi. Nel XII le isole Nicobare e Andamane passano sotto il comando indiano della dinastia Chola, successivamente fungono da base navale per l’impero Maratha.
Per tutto il XIX si susseguono passaggi inglesi, oggi l’isola fa parte del distretto di Andaman Meridionale che appartiene al territorio indiano.
L’amministrazione indiana ha fermamente preso posizione nei primi anni del 2000 manifestandosi contraria a qualsiasi intrusione o interferenza con habitat, cultura ed equilibrio vitale dei nativi dell’isola; l’isola non gode però legalmente di uno statuto amministrativo autonomo rispetto all’India.
Dagli anni ’70 del 1700 l’isola riceve una serie di “visite non ben accette” da parte di esploratori britannici che vengono sempre allontanati con attacchi di frecce dai nativi dell’isola.
Il rapporto con i nativi
Il britannico John Ritchie, in viaggio sul Diligent, testimonia in quell’anno di aver visto una “moltitudine di luci” provenienti dall’isola, prova forse che i sentinelesi conoscono il fuoco e sanno accenderlo.
Nonostante i numerosi tentativi di avvicinamento questo popolo rimane tra i più sconosciuti al mondo. Non sappiamo quasi nulla della loro lingua, della loro cultura, del loro stile di vita. Poche sono le notizie e “viste da lontano”.
Uno dei pochi contatti pacifici è quello con il team dell’antropologo T.N. Pandit. L’antropologo arriva a Port Blair, la capitale della catena di isole, nel 1966. Gli è subito offerto un posto da ricercatore all’Università di Delhi.
Il suo primo incarico governativo è proprio riguardo alle isole Andamane. Ci vorranno più di due decenni per persuadere le tribù dei Jarawa e dei Sentinelesi a deporre archi e frecce e socializzare pacificamente con i coloni indiani.
Il processo è stato estremamente lento, fatto di viaggi in aree remote della giungla, lasciano offerte a popoli tribali nascosti e che, forse, non si sarebbero nemmeno mostrati.
A dare voce all’esperienza di Pandit sul New York Times, è Ellen Barry, nell’articolo del 2017 A Season of Regret for an Aging Tribal Expert in India.
Il titolo dell’articolo “Una stagione di rimpianti per un esperto di tribù indiane che sta invecchiando”, desterà nei più sensibili già qualche sospetto. Una frase in particolare colpisce nel racconto che la giornalista riporta della testimonianza di Pandit: “So it is notable that now, when he looks back on his life’s great achievement, he does so with an unmistakable sadness”.
Si può notare che ora, mentre lui guarda indietro ai grandi traguardi della sua vita, egli lo faccia con un’inconfondibile tristezza. Nel corso dell’intervista infatti lo studioso racconta che, per quanto sia stato emozionante vedere l’incontro tra “uomo civilizzato” e “uomo primitivo”, si rende conto di quanto le pressioni del primo verso il secondo possano rischiare di intaccare in senso negativo gli equilibri di vita delle tribù indigene.
L’impatto negativo della civiltà
La tribù dei Jarawa è infatti una conferma, purtroppo in negativo, di questa affermazione. L’antropologo racconta che questi ultimi, rispetto ai Sentinelesi, sono stati avvicinati con più facilità. Egli afferma che non è facile da identificare il momento esatto in cui il contatto con i Jarawa ha iniziato a diventare un problema.
Fatto sta che questa popolazione, che prima viveva in equilibrio senza bisogno di denaro o guerra, ha iniziato a pescare e scambiare oggetti in cambio di denaro, sul web hanno iniziato a girare video di turisti indiani che lanciano loro cibo o ordinano spietatamente alle donne di danzare. I turisti hanno anche iniziato ad approfittarsi delle donne del luogo, a stuprarle e farne oggetto di gioco.
Gli attivisti, continua la Barry, sono stati d’accordo nell’identificare le “missioni civilizzatrici” nei confronti dei Jarawa come potenzialmente distruttive della loro cultura.
Pandit afferma che, ora che sono stati “infettati”, sono esposti al “moderno stile di vita” che non gli è proprio, non è per loro naturale, ora che hanno imparato a mangiare riso e zucchero, “we have turned a free people into beggars”, abbiamo trasformato persone libere in mendicanti.
Ciò che resta da augurarsi, forse, è che ciò non accada anche ai Sentinelesi, che l’uomo “civilizzatore” impari un giorno il rispetto per il diverso e che se una cultura è differente dalla sua non per questo sia da ritenersi “inferiore”.
Ma purtroppo, come dice Stanislaw J. Lec, “ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura”.
Leggi qui l’articolo uscito sul New York Times
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