Il centro ha un impianto urbanistico medioevale. Piazza delle Erbe e la vicina Piazza Sordello, unite da un passaggio ad arco, ne sono il cuore. Ad attraversarle e accedendo al Palazzo Ducale vi sembrerà di essere entrati in un mondo a parte, a metà strada tra la città proibita e il Cremlino. E non fatevi ingannare dalla razionalità di alcuni edifici che si affacciano sulle piazze. Sembrano gusci vuoti ma dentro racchiudono tutti gli stili.
Del resto Mantova è stata la più prestigiosa corte dell’Italia rinascimentale.
Per realizzarla i Gonzaga chiamano Leon Battista Alberti e Giulio Romano, allievo di Raffaello, Filippo Juvara e Andrea Mantegna. Poi arrivano anche Rubens e Monteverdi.
In piazza delle Erbe si affacciano la Rotonda di San Lorenzo, chiesa romanica dell’XI secolo, il palazzo della Ragione (del 1250) e un fianco della basilica di Sant’Andrea. Disegnata dall’Alberti e realizzata dopo la sua morte, è uno dei più importanti edifici religiosi del Rinascimento. La facciata è su piazza Mantegna e rimanda a un sistema geometrico modulare, con cerchi e quadrati, dove ogni spazio è multiplo dell’altro. Ha un campanile gotico e una cupola alta 80 metri realizzata dallo Juvara. L’interno è imponente, a navata unica e con cappelle laterali affrescate dalla scuola di Giulio Romano. La prima a sinistra accoglie la tomba del Mantegna.
Per gli amanti delle leggende e dell’esoterismo è immancabile una visita alla cripta di Sant’Andrea, dove sono conservati due reliquiari d’oro che conterrebbero il Sangue di Cristo, raccolto dal soldato romano che trafisse con la lancia il costato di Gesù in croce e portò con sé le preziose ampolle nei suoi pellegrinaggi fino a Mantova. Un Sacro Graal che è visibile il Venerdì Santo durante l’ostensione, dopo un particolare cerimoniale che permette l’apertura della cassaforte che lo contiene con dodici serrature, da azionare contemporaneamente, alla presenza dei fedeli che affollano la cripta. Le chiavi sono custodite durante l’anno dalle massime autorità religiose e civili della città, che si ritrovano appositamente in occasione dell’apertura.
Piazza Sordello è invece attorniata da palazzi del XIII secolo che affiancano il Duomo (Cattedrale di San Pietro), iniziato nel 1200 poi completato su disegni di Giulio Romano, e il Palazzo Ducale: la reggia dei Gonzaga, la famiglia che per quattro secoli (fino al 1600) governò la regione.
È composta da due edifici a portici del 1200 e dal Castello di San Giorgio, dove si trovano le celle dei Martiri di Belfiore e la famosa Camera degli sposi, affrescata dal Mantegna tra il 1465 e il 1474, con scene della vita dei Gonzaga.
Cortili, camminamenti e circa 500 saloni da ammirare (non tutti visitabili, anche per i danni causati dal terremoto del 2012). Si parte dallo Scalone delle Duchesse che introduce al piano nobile e sala dopo sala percorrerete una ricca e interminabile galleria di capolavori, con opere di maestri lombardi e veneti del ‘500 e del ‘600, arazzi fiamminghi (su disegni di Raffaello), stucchi e affreschi di Giulio Romano. Vi faranno compagnia Mantegna, Pisanello, Perugino, Costa, Correggio e altri rappresentanti della migliore arte rinascimentale italiana. Attraverserete la sala Ducale, quella curiosa dei nani, la Rustica, il cortile della Cavallerizza. E poi ancora, la Sala del Morone, l’Appartamento di Guastalla e quello di Guglielmo, la Sala del Pisanello con un ciclo ispirato alle gesta cavalleresche. Ammirerete le pale d’altare della Galleria Nuova, la Santissima Trinità del Rubens e la Vergine del Viani nella Sala degli Arcieri, la grande volta affrescata della galleria degli Specchi, i soffitti lignei dell’appartamento di Vincenzo, il Corridoio dei Mori, la sala di Giuditta e il Labirinto dell’Amore (da guardare a testa in su perché affrescato a un soffitto).
Per finire con un percorso esoterico e alchemico, voluto da Isabella d’Este, che parte dal Giardino dei Semplici (un luogo iniziatico con piante dai poteri magici seminate secondo antiche leggi ermetiche), prosegue nella Grotta (il suo spazio privato, con intarsi lignei che sono esercizi di prospettiva ed enigmi) e termina nel laboratorio alchemico sotto gli Appartamenti delle Metamorfosi.
Per completare questa passeggiata mantovana, merita una visita il Museo Diocesano Francesco Gonzaga, nell’antico chiostro medievale del monastero di Sant’Agnese, dove sono conservati numerosi dipinti, sculture, arazzi, oreficerie, avori, smalti di grande qualità artistica e rilevanza storica, alcuni dei quali provenienti dal Tesoro e dalla raccolta privata della famiglia Gonzaga. Di particolare importanza e unica nel suo genere, la raccolta di armature quattrocentesche perfettamente conservate, provenienti dal Santuario della Beata Vergine delle Grazie di Curtatone, che, ignorate per secoli come tali, rivestivano le sagome dei guerrieri là rappresentati.
Infine è da non perdere una visita al Palazzo Te, grandiosa villa suburbana dei Gonzaga creata da Giulio Romano tra il 1525 e il 1535, che oggi ospita anche il Museo civico.
A Palazzo Te Romano cerca di riassumere gli anni della pittura rinascimentale e inventa una nuova e stravagante maniera. Trasfigura miti e icone; dipinge cavalli e salamandre; ridisegna, con tanta carne, le primavere di Botticelli.
In quegli stessi anni, poco lontano, oltre le paludi, un coccodrillo veniva appeso a un soffitto per dominare la navata della chiesa delle Grazie a Curtatone.
La fata del loto
Giovane studentessa di Scienze naturali, Maria Pellegreffi portava a Mantova dall’università di Parma, dove studiava, alcuni rizomi di Nelumbio ottenuti da missionari italiani in Cina. Era la fidanzata del geometra Aurelio Zambianchi, poi suo marito: con lui e con l’amica Elvira Zampolli, nell’ottobre 1921 metteva a dimora i rizomi davanti alla valletta di Belfiore. Il Nelumbio trovava l’ambiente ideale per crescere e svilupparsi, impreziosendo e rendendo unici i paesaggi delle sponde del Mincio e dei laghi mantovani. Alla fata del Loto sono state intitolate vie di Mantova e delle Grazie. Per vederli fiorire andateci tra luglio e agosto.
Letterati a Mantova
Ben prima che si organizzasse il Festivaletteratura, la manifestazione culturale di grande successo che si tiene dal 1997 nei primi giorni di settembre, e si pensasse a Mantova come Capitale europea della cultura per il 2016, molti letterati avevano espresso incondizionati elogi per la città.
“Questa e’ una bellissima citta’ – aveva scritto Torquato Tasso – e degna c’un si muova mille miglia per vederla.” Charles Baudelaire vi trovò ” un mondo addormentato in una calda luce “, Charles Dickens (critico con gli affreschi di Giulio Romano che descrive come potenti incubi e allucinazioni) ne cantò “gli irreali laghi di canne e di giunchi”, mentre Corrado Alvaro la definì un ” paradiso di malinconia “. Per Aldous Huxley è “la città più romantica del mondo” e per Riccardo Bacchelli “una severa e dolce melanconia dell’animo velano la bellezza della città e sono parte essenziale del suo fascino”.
Anche l’istancabile viaggiatore Petrarca visitò Mantova più volte. Ci veniva ospite dei Gonzaga, qui acquistava libri e cercava le tracce lasciate da Virgilio, che riteneva suo nume tutelare e ispiratore. All’autore dell’Eneide scrive idealmente una lettera descrivendo una Mantova bucolica: “In questo luogo ho trovato la pace amica della tua campagna, e ho vagato chiedendo spesso dentro di me quali intrichi tu fossi solito percorrere negli ombrosi boschi e per quali prati fossi solito errare, e su quali rive del fiume o in quali recessi del lago che si piega in dolci curve ti reclinassi stanco a riposare. E un simile scenario sembra quasi portarti alla mia presenza”. In una lettera scritta nel giugno 1350, racconterà invece con minore entusiasmo, una notte passata a Luzzara, a pochi km da Mantova e sempre ospite dei Gonzaga, in compagnia di rane, mosche e zanzare che non gli consentono di prendere sonno.
Il mantovano volante
Nuvolari è basso di statura. Nuvolari è bruno di colore. Ha cinquanta chili d’ossa, le mani come artigli e un corpo eccezionale. Così cantava Lucio Dalla il mito del mantovano volante, l’inventore della “sbandata controllata”, che consiste nell’affrontare le curve con un secco colpo di sterzo facendo slittare le ruote posteriori verso l’esterno, e quindi controsterzare schiacciando l’acceleratore a tavoletta: così l’auto esce dalla curva rivolta verso il rettilineo e in piena accelerazione. Tazio Nuvolari è il pilota che durante la Mille miglia del 1930 ha spento i fari per non farsi notare mentre superava Varzi, andare in testa e vincere poi la gara. Nato a Castel d’Ario, provincia di Mantova, il 16 novembre 1892, a tredici anni sotto la guida dello zio Giuseppe prova la sua prima moto e l’anno dopo, di nascosto dal padre, l’auto di famiglia. Durante la Prima guerra mondiale è autiere di ambulanze, camion e vetture che trasportano gli ufficiali, tra le prime linee e le retrovie del fronte orientale. Al ritorno a casa si appassiona alle corse e partecipa alle gare sia in moto che in auto. La prima vittoria in auto è nel 1921 a Verona e da allora sarà un seguirsi interminabile di successi e di incidenti, da cui si riprendeva sempre in pochissimo tempo. Corre e vince con Auto Union, Maserati, Bugatti e soprattutto Alfa Romeo. In moto predilige la Bianchi 350, con la quale nel 1926 Tazio vincerà tutto quello che c’era da vincere. La prodigiosa carriera di Nuvolari si chiude nel 1950 con le ultime due gare, la Targa Florio e la Palermo-Monte Pellegrino. Passano poco più di tre anni e quello che Ferdinand Porsche aveva definito “il più grande pilota del passato, del presente e dell’avvenire”, se ne va, in silenzio, l’11 agosto 1953. Troverete cimeli, aneddoti e fotografie che ripercorrono la vita del mantovano volante nel Museo Tazio Nuvolari, in Piazza Broletto 9, a Mantova.