Things Fall Apart è il romanzo pubblicato nel 1958 dall’autore nigeriano Chinua Achebe. In italiano il titolo è stato reso prima con Il crollo e poi con Le cose crollano, con una traduzione più vicina al testo originario. È una pietra miliare della letteratura post coloniale e ha provocato una rottura nella rappresentazione del continente africano.
«“È come la storia degli uomini bianchi, che dicono essere bianchi come questo pezzo di gesso” disse Obierika. […] “Dicono anche che questi bianchi non hanno le dita dei piedi”. “Tu li hai mai visti?” chiese Machi. “E tu?” chiese Obierika». Il contesto in cui si svolge la storia narrata da Achebe è ben tratteggiato da questo passo. Siamo all’inizio del XX secolo in un villaggio dal nome Umofia, sulla sponda orientale del Niger. Il romanzo si concentra attorno a Okonkwo, un uomo igbo celebre nel suo compound (complesso abitativo tradizionale). È un guerriero coraggioso, proprietario di un ampio territorio e coltivatore di molti ignami. Seguendo le sue vicende e quelle della sua articolata famiglia (tre mogli e undici figli), ci si cala appieno all’interno della Nigeria dei compound prima della colonizzazione. La vita, la cultura e l’organizzazione sociale dei villaggi rurali sono raccontanti da una prospettiva interna, con assoluto rispetto e complessità. Una narrazione lontana dalle riduzioni a un semplice animismo.
Insieme alla prospettiva interna, anche le scelte linguistiche di Achebe sono centrali per questa resa. L’edizione italiana de Le cose crollano, pubblicata da La nave di Teseo, è accompagnata da una nota del traduttore Alberto Pezzotta, che spiega la scelta dell’autore di scrivere un romanzo in inglese e non in igbo, una delle lingue più diffuse in Nigeria. Lo fa con le parole dello stesso Achebe: «Riconosciamo al diavolo i suoi meriti: il colonialismo in Africa ha frantumato molte cose, ma ha creato grandi unità dove prima ce n’erano di piccole e frammentarie. […] Ha unito molte genti che prima procedevano per vie separate, ha dato loro un linguaggio con cui parlarsi».
L’inglese quindi è la lingua dei coloni sì, ma anche quella che permette a Le cose crollano di non rivolgersi solo alle persone igbo, ma potenzialmente a chiunque. Non può, però, essere un inglese standard. Si può dare spazio alla complessità della cultura igbo attraverso una lingua importata dall’estero? Achebe capisce allora che «la lingua inglese sarà in grado di portare il peso della mia esperienza. Ma dovrà essere un inglese nuovo, ancora in piena comunione con la propria casa ancestrale, ma modificato per adattarsi al nuovo contesto africano». Viene così intessuto di termini igbo per portare sulla carta l’intraducibile. Infatti come spiegare davvero chi è un egwugwu (spirito degli antenati) se non con il termine originario, le maschere e le danze cerimoniali?
Questa scelta stilistica si rivela vincente per operare una rottura nella rappresentazione del continente africano. Una zona del pianeta fino a quel momento quasi sempre vista dalla prospettiva europea e descritta con una lingua usata nella colonizzazione viene osservata e raccontata da chi la vive e l’opera che ne deriva viene tradotta in più di cinquanta lingue e fa il giro del mondo.
Il crollo presente nel titolo non riguarda, però, solo la rappresentazione delle comunità igbo dei compound. È la trama stessa a parlarci di rotture e cadute rovinose. Il contesto che Okonkwo conosce e in cui sa perfettamente come muoversi inizia a trasformarsi e a disgregarsi con l’arrivo dei missionari e poi dei funzionari bianchi. Si diffondono credenze, organizzazioni sociali ed economiche nuove, lontane dalla vita che il protagonista conduceva. Le cose non precipitano all’improvviso, ma lentamente, davanti alla rabbia e alla desolazione di Okonkwo. Arriva la violenza. Un’onda che interviene nella narrazione in silenzio per poi diventare impetuosa e rovesciare addirittura il punto di vista di chi narra la vicenda.
Nelle ultime pagine, infatti, la prospettiva dei coloni prevale e con questa scelta Achebe ci mostra un’altra rottura: quella storica subita dalle persone africane e afrodiscendenti. Prime del dominio dei coloni il punto di vista di Okonkwo e, in generale, della società igbo dei compound era valido, riconosciuto anche dalle comunità vicine. Con l’arrivo degli europei, invece, viene messo a tacere, privato di autorevolezza e da lì in avanti sarà la prospettiva coloniale a raccontare l’andamento della Storia. Mettere a nudo questo meccanismo e rovesciarlo sono i passi fondamentali che Achebe ha intrapreso e che hanno segnato in modo indelebile la letteratura post coloniale.