Luigi XIV, Re Sole, era molto goloso, basso di statura (più o meno 1,60) e si lavava poco. A trent’anni perde tutti i capelli e assume 40 parrucchieri per realizzare la sua parrucca. Poi l’impone a tutta la corte. È il potere del ricciolo. Torsioni, contorsioni e svolazzi. Siamo intorno al 1670 e nasce il Barocco in Francia. Così Philippe Daverio raccontava, nel suo stile colto e ironico, la nascita e la diffusione del barocco, in una trasmissione televisiva di qualche anno fa.
E ricordava che a Milano c’era già alla fine del 1500 negli interni della chiesa di San Fedele, voluta da Carlo Borromeo e dai Gesuiti (che hanno ancora oggi qui la loro sede milanese).
C’era nelle chiese di Sant’Alessandro in Zebedia e in quella di San Giuseppe, realizzate nei primi anni del 1600 sempre per volere dei Borromeo, paladini della Controriforma, che impone il nuovo stile barocco per contrastare i manieristi: con il loro perfezionismo si stavano allontanando dai modelli proposti dalla natura.
È il nuovo ordine di un potere ritrovato dalla Chiesa romana dopo il Concilio di Trento (1545-1563), che sanciva i principi artistici per contrastare l’ascesa di Lutero che voleva le chiese disadorne e spoglie.
È barocca la facciata del duomo di Cremona, barocca la musica di Monteverdi, barocco il violino. Anche uno dei due cavalli donati nel 1612 dai Farnese per abbellire la piazza grande di Piacenza, è pieno di riccioli.
Lodi e le chiese
A Lodi, importante centro agricolo del Ducato di Milano, dopo i Piazza che nel 1500 avevano dipinto la cappella dell’Incoronata, mancavano artisti in grado di creare una nuova scuola. Per le nuove costruzioni religiose e per la sistemazione delle vecchie prevale allora la nuova arte che tanto piace al potere centrale romano, anche se bizzarra, ampollosa e teatrale.
Dal 1600 alla fine del 1700 tutte le 88 parrocchie lodigiane subiranno interventi restaurativi nella nuova moda imperante.
A Lodi si amplia l’Incoronata, gioiello rinascimentale di fine 1400, con un coro ligneo barocco. Si costruisce la chiesa di San Filippo, che Carlo Carloni arricchisce di pregevoli affreschi. Tutto nello stile baroccheggiante: la teatralità dei gesti delle figure, le composizioni con false prospettive, le sinuosità delle cornici.
Copie minori della San Filippo, ma di stessa impostazione architettonica, sono le chiese della Beata Vergine delle Grazie e di Santa Maria Maddalena, che sorgeranno in città pochi anni dopo.
Influenze barocche si trovano anche nella chiesa di San Pietro e Paolo a Ospedaletto lodigiano, con una grande cornice intagliata sul dipinto di Bernardino Luini; nella parrocchiale di San Fiorano (al centro dell’omonimo borgo), ricca di stucchi dorati; nella cappella di Sant’Andrea a Massalengo, con statue e fini decorazioni; nella chiesa della Madonna di Caravaggio a Codogno, costruita sul modello barocco del Santuario di Caravaggio in provincia di Bergamo e nel Santuario dei Padri Cappuccini a Casalpusterlengo, con una bella tela sull’Ascensione del Malosso (Giovan Battista Trotti).
Da segnalare, sempre a Casale, la chiesa di San Rocco, che si incontra percorrendo la via Emilia. La facciata esterna è molto anonima ma all’interno si possono ammirare pregevoli affreschi e svolazzanti stucchi.
Nel lodigiano ci sono molte chiese dedicate a San Rocco (anche un paese porta il suo nome: San Rocco al Porto). Era un gentiluomo di Montpellier (1275-1327), che peregrinando di ospedale in ospedale per curare e confortare gli appestati, venne colpito dalla malattia e si ritirò nei boschi tra il Trebbia e il Po, dove veniva avvicinato solo da un cane che ogni giorno gli portava qualcosa da mangiare e che tanti artisti dipingeranno o scolpiranno al fianco del santo. Morì, si dice, qualche anno dopo nel carcere di Voghera.
I formaggi
Prima alla Scala della tragedia Aiace di Ugo Foscolo. Pubblico elegante quella sera del 9 dicembre 1811 e molto attento. Quando nel mezzo della rappresentazione il gran Sacerdote si rivolge ai cittadini di Salamina esclamando “O Salamini!”, tutti scoppiarono in una fragorosa e irrefrenabile risata. Il Foscolo si arrabbiò moltissimo e accusò i milanesi di non pensare ad altro che al cibo e specialmente alla panna e al burro di cui erano grandi consumatori. Da allora per lui Milano fu solo Paneropoli. Panera in dialetto lombardo era la panna, la crema di latte.
Capitale oggi del terziario avanzato e prima ancora dello sviluppo industriale, Milano a quei tempi era la capitale italiana del latte, del burro e del formaggio.
Furono i monaci di San Bernardo di Clairvaux (i cistercensi), nel XII secolo, a dotare di una sistemazione idraulica «la pianura bassa». A loro si deve l’invenzione delle marcite, l’irrigazione con acqua corrente che permetteva ai contadini una raccolta di fieno già due mesi prima di quella naturale e di alimentare il bestiame d’inverno con erbe fresche. Un carburante in più anche per le cavallerie viscontee impegnate in battaglie spesso vittoriose.
A fine novembre, qui calavano dagli alpeggi bergamaschi le mandrie stanche per la transumanza. Lo stracchino, il formaggio che allora producevano, prendeva il nome proprio da quelle vacche “stracche” (stanche in dialetto locale) e stracchinatt erano chiamati i contadini che vendevano il loro formaggio per le strade. In ogni cascina si produceva infatti stracchini e crescenza, pasta molle con pochi giorni di maturazione, che andava consumata subito (i frigoriferi non erano diffusi).
Qui a poco a poco si insediò un’industria casearia produttrice di grana lodigiano e gorgonzola, che deriva dallo stracchino lavorato sovrapponendo due diverse cagliate, una fredda e asciutta e una calda, tra i cui interstizi si forma poi la muffa tipica.
Nacquero le prime latterie sociali e, nel 1871, il primo centro di ricerca, la Regia stazione sperimentale del Caseificio di Lodi. Poi arrivarono le grandi aziende come la Polenghi Lombardo a Lodi, la Galbani e la Invernizzi a Melzo, le centrali del latte di Milano e Monza.
Ancora oggi nel lodigiano sono numerose le aziende che continuano con impegno a produrre formaggi di ottima qualità come il Grano padano (Caseificio Zucchelli di Orio Litta), la caratteristica Raspadüra (soffici petali di grana giovane, ottenuti con la tipica raspa, una lama sottile che “sfoglia” dalle forme di grana questi morbidi ricci) e il tipico pannerone, un formaggio grasso, a pasta molle e cruda, fatto senza sale, fermenti o muffe e maturato ad alte temperature. Il Caseificio Carena di Caselle Lurani lo produce dalla fine dell’800, insieme al Mascarpone, che si ottiene dalla lavorazione di latte freschissimo, entro dieci ore dalla mungitura, a cui si aggiunge acido citrico per ottenere la cagliata.
Altro ottimo formaggio del territorio è il gorgonzola, in particolare il Malghese prodotto dal Caseificio di Angelo Croce a Casalpusterlengo.
Maioliche Lodigiane
La striscia di terra che costeggia l’Adda da Zelo Buon Persico alla sua foce nel Po è ricca di argilla di buona qualità. Questa risorsa ha favorito la nascita di numerose fornaci per la fabbricazione di mattoni e tegole, e ha fornito materiale per l’opera di vasai e fabbricanti di maioliche e ceramiche, che conobbero, soprattutto a Lodi, stagioni di grande splendore artistico.
I “figulini” di Lodi, così erano soprannominati i vasai della cittadina lombarda, conobbero il periodo di maggior fioritura nel Settecento, interpretando le tendenze dell’epoca con gusto raffinato e alto livello artistico. Le loro opere erano richiestissime dalle corti di tutta Europa al pari delle ceramiche di Capodimonte e Faenza.
I temi ornamentali erano fiori policromi, pesci, frutta, figure orientali e popolari stilizzate e circondate da delicati paesaggi, pianticelle e animali fantastici. Dopo un periodo di declino, negli ultimi decenni la tradizionale produzione di ceramiche ha avuto un nuovo impulso, ottenendo nel 1990 il riconoscimento di Zona di produzione di ceramica artistica e tradizionale, con la denominazione “Vecchia Lodi”.
Splendidi esempi di ceramiche lodigiane si conservano al Museo Civico della Ceramica, a fianco della chiesa barocca di San Filippo e nelle vie del centro sono molte le botteghe artigiane dove è ancora possibile acquistare pregevoli manufatti come servizi da tavola, vasi, lampade e bomboniere.
Lodi è una delle trentasei “città della ceramica” italiane, l’unica della Lombardia e una delle novanta europee.
Chiesa di San Fedele a Milano
È stata recentemente restaurata e riaperta al pubblico la cappella della Madonna del Latte o delle “Ballerine”. Secondo un’antica tradizione le ballerine del Teatro della Scala fino agli anni ottanta portavano i fiori sull’altare della Madonna, la sera del debutto.
Alla sinistra dell’altare maggiore vi è una lapide in bronzo che ricorda il punto dove era solito pregare Alessandro Manzoni, che abitava a circa 200 metri dalla chiesa. Un giorno di gennaio del 1873, uscendo da messa, lo scrittore cadde sui gradini battendo la testa contro la balaustra. Non si riprese più e morì il maggio seguente. Sulla piazza antistante la chiesa venne eretta una statua in sua memoria.