Enorme ciotola di roccia piena di ghiaccio, la Groenlandia è il suolo più antico della pianeta. Le rocce che la costituiscono e che affiorano in estate, sono quelle stesse che si sono raffreddate e solidificate, dopo che il big bang aveva generato il pianeta terra. Proprio per la loro origine, sono le più ricche di minerali pesanti ed è un’emozione camminarci sopra con la consapevolezza che solo lì le puoi trovare, vedere e toccare.
Il cotone e il vento artici
Il colore prevalente di questo territorio è senza dubbio il bianco della calotta glaciale dell’altopiano, che lo ricopre quasi completamente anche in estate, anche in un’estate molto calda come quella appena passata.
È il periodo dell’anno nel quale è visibile qualche sprazzo di vegetazione tra le rocce variopinte che ne costituiscono la naturale cornice e anche la sua vera essenza: macchie di violetto colorano il panorama, il verde dei prati è costellato dai punti bianchi dei fiori di cotone artico, batuffoli morbidi come cashmere, che si lasciano pettinare dal vento che soffia costantemente.
È un vento gentile e neanche tanto freddo, nulla a che vedere con il terribile piterak, il vento artico che, più che soffiare, grida la sua presenza in particolari giorni d’inverno.
Qui la natura regna incontrastata. In piena estate i fiordi pescosi e costellati di masse di ghiaccio galleggianti, offrono cibo in abbondanza a orsi bianchi, foche e balene. Anche i suoni sono legati all’acqua in movimento, lo scorrere dei ruscelli, i salti delle cascatelle, le onde del mare, l’impatto tra iceberg, e sono esaltati dai gridi gioiosi e acuti delle balene.
Gli Iceberg
Gli iceberg, bianchissimi e orgogliosi, che l’acqua salata del fiordo strappa alla calotta glaciale, iniziano il loro viaggio seguendo la corrente verso il mare aperto, e, nel loro andare, si scontrano, si spaccano, dondolano e man mano trasformano il loro colore dal bianco abbagliante al turchese sempre più trasparente, fino a collassare definitivamente e a confondersi col mare. Ma per quanto vi nascano e vi muoiano, gli iceberg non appartengono al mare.
Una terra ostile
Le severe condizioni climatiche non rendono facile la vita per gli abitanti, circa 57mila, concentrati soprattutto sulle coste sud-ovest dell’isola più estesa del mondo (con una superficie sette volte più grande dell’Italia).
Gli Inuit e, prima di loro i Thule, dai quali discendono, sono riusciti a sopravvivere e a procurarsi il cibo attrezzandosi con i kajak in estate e con le slitte trainate dai cani in inverno. Il loro organismo si è modificato nel tempo e li ha resi capaci di resistere al gelo nutrendosi esclusivamente di orsi, balene e foche.
Fino al secolo scorso vivevano in case di terra, capanne parzialmente interrate costruite di pietre e di torba e ricoperte di pelli di foca; trascorrevano l’inverno nella buca, la parte più calda della casa, stretti, stretti, uno vicino all’altro.
La struttura familiare era semplice ma rigorosa: gli uomini cacciavano lo stretto necessario ai loro fabbisogni e le donne trasformavano i prodotti della caccia in cibo, in abiti, in oggetti e in strumenti; niente veniva buttato perché tutto è prezioso dove la natura offre così poco per vivere. La dipendenza esclusiva dagli animali che cacciavano e la continua ricerca di zone dove la cacciagione era più abbondante, li ha fatti diventare un popolo nomade.
La natura, la minaccia più grande per la loro sopravvivenza, capricciosa e imperdonabile ma anche grandiosa e sorprendente, ha giocato un ruolo predominante nella loro cultura. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se nei secoli gli Inuit l’hanno personificata, resa viva e tangibile in molti dei loro racconti e dei loro miti.
Misurare il tempo
La migrazione di questo popolo dai paesi asiatici verso la Groenlandia non è avvenuta in modo massivo, ma in piccoli gruppi di poche famiglie. Ciò li ha resi molto vulnerabili nei confronti di quei cambiamenti, che in qualche modo avevano conseguenze negative sulla caccia e sulla pesca.
Gli Inuit hanno vissuto tra un rigoroso presente indicativo dello stare al mondo e un’idea di futuro contratto in poche ore: per loro esisteva solo quello che facevano e che vivevano in quel momento; il passato non aveva importanza e così pure il futuro, sia perché indecifrabile sia perché offuscato da un quotidiano molto duro.
Nel 1950, con l’arrivo dei danesi, sono arrivate anche le casette di legno di tutti i colori e i negozi; i kajak sono stati sostituiti dalle barchette a motore e le slitte trainate dai cani sono state affiancate dalle motoslitte.
Gli Inuit si sono faticosamente adattati a contare il tempo, come facciamo noi, e adesso c’è un orario di apertura e chiusura dei negozi, un orario per andare nelle docce pubbliche, un orario per andare a scuola, ma l’idea di un futuro più lungo di un giorno non è ancora stato ben assimilato dalla loro cultura.
La magia della Groenlandia, in fondo, sta proprio in questa dimensione senza tempo, dove si può camminare sul suolo più antico della terra, a contatto con un popolo che sa vivere solo nel presente e dove l’unica idea di futuro che noi, provvisori visitatori, riusciamo a percepire sembra essere quella del tempo che ci resta fino a domani, quando riprenderemo l’aereo che ci riporterà a casa.
Ho letto con interesse l’articolo su questa terra, tanto lontana quanto affascinante. Le notizie di carattere geologico, storico, sociale sono presentate da una penna capace di trasmettere sentimenti ed emozioni: una viaggiatrice sicuramente intelligente, curiosa e sensibile, che ha colto un “sentimento del tempo” tanto diverso da quello percepito nel mondo occidentale! Utilizzerò questo articolo a scuola, perché esprime il solo vero modo di viaggiare: con la testa e con il cuore.
Ciao Antonella, grazie per le belle parole! Non ci resta che augurarti buon viaggio, giacché anche insegnare è un po’ viaggiare.