“Poi in certi rari giorni di vento, in autunno o in primavera, in fondo ai viali di Milano comparivano le montagne. Succedeva dopo una curva, sopra un cavalcavia, all’improvviso, e gli occhi dei miei genitori, senza bisogno che uno indicasse all’altra, correvano subito lì. Le cime erano bianche, il cielo insolitamente azzurro, una sensazione di miracolo”.
In questi giorni di quarantena, ho deciso, insieme alle amiche con cui sono solita andare in montagna, di montare la tenda in salotto e passarci la notte.
Magra consolazione si potrà pensare, ma il semplice gesto di montare quei due pali, interno ed esterno hanno spezzato come in un incantesimo il susseguirsi delle infinite notti passate nello stesso letto.
Il cielo come soffitto
La tenda rappresenta l’evasione dal quotidiano, il più semplice e liberatorio dei rifugi, che basta portarsi sulle spalle per reinventare il concetto di viaggio e programmazione.
Sdraiati in tenda e guardando il soffitto soffice di tela si può immaginare di essere in qualsiasi luogo.
La prima notte passata in tenda ero con i miei genitori nel cosiddetto Pian delle Signorine, un piccolo spiano in Val d’Ayas, chiamato affettuosamente così per distinguerlo dal più famoso e turistico Pian delle Signore, all’ombra del monte Zerbion.
Ricordo il cielo infinito, trapunto di stelle e i mille rumori del bosco. Finché all’alba il richiamo di una volpe non ha fatto impazzire il mio cane, mezzo pastore tedesco, che coi suoi latrati ha svegliato tutto il bosco e portato da noi la Guardia Forestale, con cui abbiamo diviso la prima moka di caffè gorgogliante sul fornelletto.
Il disagio del viaggio in tenda
L’aspettativa romantica del dormire in tenda si scontra normalmente con la prima vera esperienza della notte in tenda: che si dorma in un campeggio organizzato con la famiglia, che si sia in viaggio con gli amici, in un’esperienza on the road – chi l’ha provata sa che una notte in tenda può essere un incubo vivido ma comunque a occhi aperti.
Innanzitutto, ci vuole una certa esperienza per organizzare una vacanza in tenda come si deve: se osserviamo le mosse degli abili tedeschi possiamo commentare con ironia il loro meticoloso montare teli sopra e sotto la tenda e fissare correttamente i picchetti. Alle prime gocce di pioggia di un tipico temporale estivo che con il suo intensificarsi ti fa sognare un soffitto stabile e delle mura possiamo star certi che al mattino i tedeschi usciranno dai loro sacchi a pelo comunque asciutti e riposati.
Noi ci sveglieremo indolenziti per il terreno fradicio e – se ci va bene – senza troppi danni ai nostri averi. Posso assicurare che far asciugare un sacco a pelo è tutt’altro che una passeggiata. Tantomeno portarselo bagnato nello zaino. Impariamo dai meticolosi tedeschi, scegliamo bene dove montarla, in piano e se possibile con un telo sotto a far maggior isolamento dal terreno.
La scoperta della Natura
“E diceva: siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente”.
Siamo noi cittadini – come sempre – a romanzare il concetto di Natura. Sicuramente il viaggio in tenda ridimensiona questo banale e letterario concetto in una concretizzazione dell’oggetto in studio.
La Natura è lo svegliarsi al mattino e scoprire di aver dormito in un pascolo di mucche, che ora brucano allegramente intorno a te. Se hai lasciato pentolini o stoviglie della cena della sera precedente puoi star certo di trovarli impeccabilmente puliti – se li trovi.
Nel viaggio in tenda, solitamente condotto a piedi, impari i termini della Natura o, quantomeno, impari visivamente quali evitare: i terreni brulli e rocciosi in cui non pianterai mai un picchetto, le rive del fiume che possono essere pericolose per un’improvvisa piena, lo sterco di mucca vicino al quale non vorresti mai posare il volto, per quanto separato dal tessuto della tenda.
Eppure, le tempistiche del viaggio in tenda possono rivelare sorprese inaudite. Durante un viaggio in Islanda un incidente di percorso ci ha fatto ritardare sulla tabella di marcia. Solo verso le 11:30 di sera abbiamo iniziato a montare i pali e, nel farlo, alzando gli occhi al cielo sono rimasta stupita dalla forma di alcune deboli nuvole verdastre sopra la nostra testa. Sopra di noi si svolgeva lo spettacolo dell’aurora boreale in una sua timida forma, visto che eravamo ancora in piena estate. Un regalo d’addio dell’Islanda che non dimenticherò mai.
I tempi della tenda
La tenda è severa con i suoi frequentatori. Bisogna arrivare presto per montarla alla luce e bisogna smontarla presto per poter ripartire. Bisogna smontarla presto anche perché è buona norma non farsi trovare da altri frequentatori delle montagne ancora addormentati nei sacchi a pelo mentre loro iniziano l’ascesa. In alta montagna si va solo al mattino presto.
Le sveglie per fare un’escursione su un ghiacciaio variano mediamente dalle 2 e 30 del mattino alle 5 come termine ultimo. Tutto dipende dalla vicinanza della cima.
Ed è sempre tremendo svegliarsi al caldo del proprio sacco a pelo con la luna che timidamente scompare e la notte ancora più buia sopra di noi pensando al freddo che ci aspetta fuori.
Sempre meglio dormire in mutande ma con i vestiti per il giorno dopo in fondo al sacco a pelo, assorbiremo il calore delle piume del nostro “letto” e la vestizione non sarà così traumatica.
Nel mio trekking in Ladakh ho passato diverse notti in tenda, con un freddo così pungente e glaciale che dormivo con il cappellino in testa. All’alba, una mattina mi sono accorta che l’interno della tenda non era montato bene e pendeva floscio sopra la mia testa: sul mio cappellino c’era un sottile strato di ghiaccio.
Perché farlo?
Con tutte queste premesse viene ovviamente da chiedersi perché farlo.
C’è una certa dose di masochismo nel partire a piedi con uno zaino sulle spalle al cui interno hai il necessario per sopravvivere uno, due o dieci giorni. La tenda, il sacco a pelo, i vestiti di ricambio, il cibo, i fornelletti, la tenda di nuovo – se camminate con amici, offrirsi di portare la tenda un giorno in più per aiutare un altro in difficoltà è forse l’atto di generosità più grande concepito dalla Natura, sì, proprio lei.
Eppure, il camminare a piedi con la tenda sulle spalle concede una libertà strabiliante a cui non siamo più abituati.
La libertà dell’essenzialità, del rinunciare al superfluo. Ogni oggetto inutile peserà come un macigno sulle tue spalle, aggredendoti coi sensi di colpa.
La libertà di scegliere dove fermarti, quando fermarti e quanto a lungo. Sia che tu sia a caccia di record, sia che tu voglia solo goderti la Natura (sempre lei), sia che voglia divertirti con gli amici, la tenda sarà la tua amica più cara, pronta a offrirti riposo ovunque tu riesca a montarla.
La libertà di essere in costante sfida con te stesso. Se anche parti in montagna a caccia di record, è dal secondo o terzo giorno che scopri che la sfida più grande è con la tua testa, ogni passo che riesci a fare quando pensavi di aver raggiunto il massimo delle tue forze è una vittoria che ti porta un po’ più vicino al momento in cui monterai i pali e potrai finalmente riposare.
La libertà che se anche quest’estate chiuderanno i confini e non potrai prendere aerei, forse il viaggio più bello e inaspettato potrebbe essere quello che non avresti mai pensato di fare. E se lo farai, ricordati di trattare sempre bene la tua tenda, lei è lì a offrirti un soffitto ogni volta che ne avrai bisogno.
Le citazioni del testo sono tratte da Le otto montagne di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2018. Il libro è una dichiarazione d’amore a ciò che le montagne ci ricordano, al nostro passato, presente o futuro.
Immagine di copertina: Erika De Nadai