Skopje è un negozio di souvenir, dentro c’è un po’ di tutto. Statue che raffigurano sconosciuti guerrieri, velieri adagiati sulle sponde del Vardar, vicoli stretti e palazzi neoclassici, fontane kitsch e bar in cui ci si ritrova catapultati improvvisamente nella vecchia Jugoslavia.
Una capitale lontana da ogni rotta, sia essa economica o turistica, che è una fotografia perfetta del paese che rappresenta: la Macedonia del Nord e tutte le sue fragilità.
Il peso delle macerie
Nella vecchia stazione, che sorge su un lungo viale dedicato ai Santi Cirillo e Metodio, non passano più treni. Non ci sono nemmeno più i binari. L’orologio è fermo alle 5.17, a ricordare il momento che ha cambiato per sempre la storia della città.
Il 26 luglio 1963, a quell’ora, Skopje venne quasi completamente rasa al suolo da un terremoto: più di mille persone persero la vita, circa quindicimila case vennero distrutte, più del doppio vennero danneggiate, lasciando senza un tetto sulla testa duecentomila persone. Fu la fine della vecchia Skopje, che ora fa capolino soltanto in qualche foto appesa nei ristoranti.
Il progetto per la sua rinascita venne affidato all’architetto giapponese Kenzo Tange: una ricostruzione non soltanto fisica, ma che aveva l’ambizione di cambiare l’idea dell’intera città, trasformandola nella “città modello del mondo socialista”.
L’imponente progetto vide solo in parte la luce e rappresenta oggi parte integrante dello straniante collage che compone Skopje. Un esempio per tutti, la nuova stazione, che rappresentava una vera e propria eccellenza architettonica e che è oggi in preda al più totale degrado.
Dietro il marmo non c’è nulla
Passeggiare sulle rive del Vardar, il fiume che taglia in due la città, è quasi un’esperienza mistica. Mai come a Skopje si ha la sensazione di essere all’interno di un set cinematografico dove convivono decine di scenografie diverse.
È il risultato del progetto Skopje 2014, nato undici anni fa su un’iniziativa dell’allora partito di governo Vmro-Dpmne, che mise sul piatto ottanta milioni di euro per trasformare il centro cittadino e renderlo più appetibile ai turisti. L’obiettivo reale e nemmeno tanto nascosto era però un altro: contribuire alla creazione di un’identità nazionale attraverso l’esaltazione della storia del paese e delle sue figure più note, vale a dire Madre Teresa di Calcutta e Alessandro Magno.
Il risultato (anche se il progetto non si è mai di fatto concluso) è stato leggermente diverso. Skopje è diventata una sorta di parco giochi tappezzato di statue pacchiane e palazzi in un improbabile stile neoclassico, con candide facciate in finto marmo e alle spalle lo spettro di un paese spaccato a metà.
Ma quanti siete?
Perché alle spalle della messinscena neoclassica si fa strada un’altra città, fatta di viuzze e case basse, che raccontano di un passato diverso da questo incerto presente: è il vecchio bazar, con il suo vociare e le sue moschee. È la minoranza albanese, con tutto il suo peso.
Per i dati ufficiali oggi la Macedonia del Nord ha poco più di due milioni di abitanti, di questi il 25% è di origine albanese. Peccato però che l’ultimo censimento risalga al 2002 e di conseguenza gli ultimi numeri certi abbiano ormai diciannove anni. Da allora è stato impossibile farne un altro.
I motivi? Sostanzialmente due. In primis, le stime parlano di un crollo della popolazione dal 2002 a oggi di almeno il 20%, in gran parte giovani e quasi esclusivamente a causa della crisi economica in cui versa il Paese. Una dato critico da giustificare per le forze politiche che governano la Macedonia del Nord.
Il secondo aspetto è forse ancor più complesso. Gli albanesi hanno infatti ottenuto diverse concessioni a seguito degli accordi di Ohrid nel 2001, tra cui il riconoscimento della loro lingua come lingua ufficiale dello Stato. Questo però accade soltanto se la minoranza super la soglia del 20%. Un nuovo censimento potrebbe di fatto sconvolgere un equilibrio già precario, sia da un lato sia dall’altro.
Dopo decine di rinvii, il tanto atteso censimento era stato fissato ad aprile 2021, ma il Covid ha portato al rinvio. Non è chiaro quali saranno i prossimi sviluppi. Resta evidente che, sulla strada per la formazione di uno Stato che sappia conciliare le sue diverse anime, il censimento è un atto necessario, senza il quale un futuro già incerto si colorerebbe ancor più di nero.
Ciò che resta dei chilometri
Dopo un viaggio a Skopje ciò che resta negli occhi non può che confermare ciò che i numeri e la storia hanno già raccontato. Una città divisa nell’aspetto e nelle persone, con l’incertezza del futuro che sembra già essere diventata rassegnazione. Si cerca così rifugio nell’opposizione, nel contrasto con l’altro.
C’è chi ti offre raki e ti dice di stare attento ai macedoni, che sanno essere gentili, ma solo perché vorranno ottenere qualcosa da te. E chi divide con te la sua birra, ma ti consiglia di nascondere i contanti, perché gli albanesi sono soliti rubarli ai turisti. Banale quotidianità, che racconta però di una ferita profonda, che a oggi non ha ancora conosciuto medicina.