Marsiglia è il Mediterraneo. È Tunisi, Napoli, Genova, Barcellona e da sempre porto di sbarco di migranti, fuggitivi ed esiliati. Una città meticcia dove le mille culture di passaggio hanno lasciato tracce indelebili su una mappa caratterizzata dalle diversità: dai quartieri diventati ostentatamente alla moda, alle periferie del degrado, dai vicoli stretti del Panier alla spianata del Vieux Port con centinaia di barche attraccate.
Capitale europea della cultura nel 2013, Marsiglia è la capitale delle contraddizioni, della bellezza nascosta, della criminalità e delle mille minoranze. Ottocentomila abitanti e sette marsigliesi su dieci non sono di origine francese.
Quasi una repubblica a parte.
La città è da sempre ribelle (l’inno nazionale francese ne è la celebrazione) e quando nel 1660 Luigi XIV iniziò la costruzione di Fort Saint-Jean all’ingresso del porto, i cannoni non furono puntati contro possibili invasori dal mare, ma tenevano sotto tiro la città, in rivolta contro il governatore locale.
Jean Claude Izzo
Nessuno ha rappresentato Marsiglia meglio di Jean Claude Izzo, figlio di immigrati, un napoletano e una spagnola, che nel Panier è nato nel 1945 ed è morto a soli 55 anni.
In tutte le sue opere ha raccontato il grande amore per una città dolce e difficile, amara e incredibilmente saporita. Per lui “Marsiglia è città di luce e di vento”, il famoso mistral, che si infiltra in cima alle stradine, spazza via tutto fino al mare e colora il cielo e il mare di un’infinita varietà di blu: “Per il turista, quello che viene dal nord, dall’est o dall’ovest, il blu è sempre blu.
Solo dopo, quando ci si sofferma a guardare il cielo e il mare, ad accarezzare con gli occhi il paesaggio, se ne scoprono altre tonalità: il blu grigio, il blu notte e il blu mare, il blu scuro, il blu lavanda. O il blu melanzana, nelle sere di temporale. Il blu verde. Il blu rame del tramonto, prima del mistral. O quel blu così pallido, quasi bianco”.
La Marsiglia di Izzo è “un luogo dove chiunque, di qualsiasi colore, poteva scendere da una barca o da un treno, con la valigia in mano, senza un soldo in tasca, e mescolarsi al flusso degli altri.
Una città dove, appena posato il piede a terra, quella persona poteva dire: “Ci sono. È casa mia”. E così descrive la sua città: “Marsiglia si fa un baffo delle prospettive.
È fatta di colline che scendono al mare, così cementificate che solo camminando e gironzolando per la città vi accorgerete che è un continuo salire, scendere, risalire. Per accedere al quartiere vecchio del Panier vi aspetta una bella scarpinata attraverso le scalinate di Les Carmes.
Arrivati in place des Moulins, scoprirete di essere alti come la stazione Saint Charles ma per raggiungerla dovrete scendere e risalire su un’altra scalinata, più monumentale. La sua facciata, splendida, guarda al porto, al mare, a Oriente. Guarda l’unica collina che non si nasconde, quella su cui troneggia Notre Dame de la Garde, la bonne mere (la buona madre) che di giorno brilla sotto il sole e di notte sotto i fari. Come un eterno cero”.
Secondo Izzo “Marsiglia non è una città provenzale e neppure europea. Marsiglia è mediterranea. Non è un posto di confine dell’Europa, è come il suo mare: un po’ africana e un po’ mediorientale, così come Beirut è un po’ europea”.
E il Panier è una Montmartre sporca e colorata. “Parigi è un’attrazione, Marsiglia è un passaporto”.
Izzo è critico verso le ristrutturazioni delle case coloniali, la riqualificazione dei quartieri attorno al porto, i nuovi colori ocra delle facciate del Panier: “alla futile vanità della nuova ricchezza Marsiglia non offre opposizione. Con questi tentativi di far dimenticare a tutti le sue origini antiche, la città somiglia a quelle finte bionde che incroci nelle strade. Mostrano solo quello che non sono”. “Perché Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere”.
Marsiglia per Jean Claude è l’odore dell’aglio (“sentore selvaggio e volgare, che fa parte del gusto di vivere; apre le porte a tutti i sapori e mangiare vuol dire accogliere”), il profumo pepato della menta, quello intenso del basilico e quello più discreto della santoreggia.
Sedici municipalità, otto sindaci e 111 quartieri in una sola città, la vita sporcata dal mare che si deforma e si spande fino ai quartieri a nord, quelli più emarginati, come le Castellane, dove è nato Zinédine Zidane, enclave araba, agglomerato di palazzi alveare spalmati su salite e discese, roccaforte del traffico di droga.
Fabio Montale
Un fortino impenetrabile anche per la polizia. Solo Fabio Montale, il poliziotto di origine napoletane protagonista della trilogia marsigliese di Izzo (Casino totale, Chourmo e Solea) poteva accedervi.
Con la sua vecchia Renault percorre le vie del centro e attraversa i coloratissimi mercati, come quello di Longue des Capucins, lungo la Canebière, perfetto per perdersi tra i profumi di mille spezie che trasformano questa parte della città in un angolo d’oriente: dal cumino al curry, dal coriandolo alla menta, quegli stessi aromi che Montale ritrova anche sulla pelle delle donne che con passione e tristezza ama.
Izzo la chiama “la sensualità delle vite disperate” e la frase sarà ripresa da Paolo Conte nella canzone Un gelato al limon.
Poi seguiamolo spostarsi dai banconi dei bar ai tavoli dei suoi locali preferiti.
Nei piatti e nei bicchieri ritroviamo i sapori del Mediterraneo, nei nomi delle pietanze le contaminazioni dei dialetti e delle lingue. Ci sono i piatti greci come i dolmades (involtini di vite ripieni), il tarama (salsa a base di uova di carpa o merluzzo) o i loukoumi, dolci cubetti di farina e zucchero aromatizzati; quelli spagnoli come la paella e quelli africani come il cuscus, la tajine o il chakchouka (uno stufato di peperoni).
Montale, come Izzo, è affascinato da questa multietnicità e non perde occasione per manifestare la propria contrarietà verso le crescenti tensioni razziali fomentate dall’estrema destra.
Per questo spesso si siede al Bar de Maraichers, in rue Curiol nel quartiere La Plaine, frequentato da chi “sicuramente non votava Fronte Nazionale e non l’aveva mai fatto”.
I sapori locali che predilige sono quello aromatico del Pastis (l’aperitivo a base di anice che si apprezza solo dopo il terzo bicchiere: “Il primo lo bevi per sete. Il secondo, beh, inizi ad apprezzarne il sapore. Il terzo te lo godi”) e della bouillabaisse, la zuppa di pesce di scoglio, con tante verdure, zafferano e buccia d’arancia, da cuocere a fuoco alto e ritirare appena inizia a bollire (da qui il nome, bouillir e abbaisser).
Nella zona del Vieux Port si ferma a osservare l’andirivieni delle imbarcazioni sorseggiando una birra sulla terrazza de La Samaritaine o gustando un piatto di calamari fritti e melanzane gratinate innaffiati da un vino rosè al Bar de la Marine. Apprezza anche gli spaghetti alle vongole e il tiramisù dell’italiano Mario, in place Thiars.
Se attraversa i vicoli del Panier, Montale si ferma spesso al Treize coins di Ange, in rue Sainte Françoise, a bere un bicchiere di mauresque (pastis e sciroppo d’orzata) accompagnandolo con un piatto di verdure ripiene o di trigliette in salsa bohemienne (besciamella con uova e prezzemolo) o al Chez Etienne, dove “servono la miglior pizza di Marsiglia e il conto, come l’orario di chiusura, dipende solo dall’umore di Etienne”.
Da Chez Felix, in rue Caisserie, ci va perchè “il baccalà viene dissalato al punto giusto e poi immerso nell’acqua bollente con finocchio e grani di pepe, e qui hanno anche un olio d’oliva particolare per montare l’aioli”.
Quando Montale cerca di sfuggire “alla schifezza del mondo” si rifugia nella sua casa a Les Goudes, un piccolo porto fuori dalla città, poco prima de Le Calanques, venti chilometri di massiccio di roccia calcarea a strapiombo sul mare.
Qui anestetizza il dolore con il profumo torbato di un whisky scozzese (il Lagavulin) ma ritrova tutti i sapori mediterranei nella cucina di Honorine, l’affettuosa vicina di casa. Un’energica settantenne, la sola che riesce a confortare la sua tristezza, a volte con un semplice minestrone alla genovese o una pietanza alla bottarga che lei stessa prepara con una settimana di lavoro.
Se oggi è ancora possibile ritrovare i luoghi descritti da Izzo attraverso Montale, faremo fatica a ritrovare l’atmosfera che fino a un decennio fa la città emanava.
Marsiglia sta cambiando.
Non ha perso il suo fascino nascosto ed è sempre piena di contraddizioni ma è come se fosse sopita, addormentata in attesa di un evento che la scuota e la distolga dell’interesse quotidiano.
Le citazioni sono tratte da: Casino totale (1995), Chourmo (1996), Marinai perduti (1997), Vivere stanca (1998), Solea (1998), Il sole dei morenti (1999) e Aglio, menta e basilico (2000).