Riflessioni autunnali guardando dalla finestra un mondo in quarantena e il cielo attraversato da uno stormo di uccelli migratori
Fino a un secondo fa era il 2020. Era autunno. Ora invece è il 2019, la stagione è la stessa. Qualcuno vi dice che ci sono buone probabilità che una pandemia mondiale scombussoli l’equilibrio (già instabile) del mondo. Voi ridete, continuando a bere il vostro spritz e immaginando lo scenario migliore per scrivere il vostro primo romanzo distopico. Almeno, per me è così. Ma andiamo ancora più indietro, è il 2018. Stesso periodo dell’anno, non so dove siate voi, io mi trovo a Praga, probabilmente su Ponte Carlo a guardare le statue conversare con i piccioni. Più indietro nei ricordi di viaggio non si va, è una regola-base di sopravvivenza. Per sopportare la seconda quarantena nazionale o semi-nazionale della propria vita, ci si deve dare delle regole. La prima è, appunto, spulciare ricordi di viaggio solo fino a una certa data, andare troppo indietro nel tempo potrebbe portare a controindicazioni indesiderate. Tipo avere nostalgia persino del trovarsi le ginocchia in bocca quando prendi un volo low-cost della peggiore compagnia aerea. Il secondo imperativo categorico da lock-down è non pensare che possa essercene un altro.
Lock-down, confinamento, una parola che per noi ora è tutto e invece per qualcuno non esiste. Per gli uccelli che vediamo fuori dalla finestra, mentre ce ne stiamo assordi e grigi illuminati solo dalla luce dei nostri computer, ad esempio. Distanziamento sociale, un altro termine non contemplato dagli stormi di anatre e cormorani che vediamo passare, tutti ammassati, sopra i nostri comignoli, pronti a migrare verso il grande Sud. Perché sì anche qui, perlomeno qui, in Pianura Padana, ci sono i cormorani. Loro però sono pronti ad andarsene, noi no.
Ma una cosa in comune con i pennuti, comunque, ce l’abbiamo.
La polifagia pre-migrazione e i lunghi percorsi
La polifagia. Noi da quarantena, loro da migrazione. Poli viene dal greco polus, sta per molto, mentre fagia è la radice che indica l’attività del mangiare. Mangiare molto, insomma. Così mentre noi siamo chiusi in casa, a riscoprirci pizzaioli e massaie rimettendo mano a quel lievito che preventivamente avevamo comprato e congelato in tempi non sospetti, intanto cicogne, rondini e altri amici volatili si riempiono la pancia per immagazzinare energie per un lungo viaggio. Solo che noi ci spostiamo dalla cucina al divano, i pennuti fanno le valige per l’Africa. Tornando al mangiare, pare che alcuni uccelli arrivino anche a duplicare il proprio peso nel giro di pochi giorni. Certo loro per migrare possono impiegare un tempo che va da una settimana a quattro mesi, percorrendo distanze giornaliere che vanno dalla ventina fino ai mille chilometri. Noi al massimo portiamo il cane ad annusare gli umori e gli odori che un suo compare ha lasciato sotto il lampione all’angolo della strada.
Comunque, il record di distanza lo ha la Sterna Artica che dalle falesie dei mari nordici raggiunge l’Antartide. Per il viaggetto si fa 17mila chilometri. Ovviamente l’amica Sterna è un po’ l’Eliud Kipchoge dei volatili. In genere gli itinerari dei migratori prevedono viaggi più brevi, dai venti ai mille chilometri al giorno. Insomma un Roma-Milano andata e ritorno, anche non-stop. Alcuni hanno il turbo, altri la prendono con più calma, viaggiando tendenzialmente velocità tra i 15 e i 60 km all’ora, a seconda della specie e dell’individuo specifico. La lunghezza totale del percorso pare si aggiri anche intorno ai 5 mila km per spostarsi dall’Europa all’Africa. La durata del viaggio comunque dipende da molti fattori, dal luogo di arrivo, di partenza, dalla potenza del mezzo, alla quantità di pause in autogrill.
I corsi d’acqua diventano strade, l’Italia è un ponte
Perché lo fanno? Non hanno l’abbonamento a Netflix, un divano di fianco al calorifero e il frigorifero in cucina. Per trovare condizioni ottimali per la sopravvivenza devono spostarsi da un continente all’altro. Ma la vera domanda è come facciano a sapere dove andare, soprattutto per me che non riesco a capire come passare dal reparto surgelati a quello della pasta al supermercato.
Sembra che entrino in ballo due fattori fondamentali. Uno, un istinto che si forma nel corso di generazioni e generazioni. Due, la trasmissione delle conoscenze degli individui più anziani del gruppo. Spesso usano riferimenti come i tracciati dei corsi d’acqua o dei promontori. Peraltro pare che l’Italia si trovi ad essere un bel porto di mare in questa dinamica, fornendo un punto di appoggio per i pellegrini che si muovono dalle varie parti d’Europa verso l’Africa. La nostra penisola diventa così un ponte attraverso il mar Mediterraneo. Ci sono dei percorsi migliori? Quando impostano il navigatore possono scegliere il “percorso verde” e saltare le file, invece di quello indicato dalla “stradina rossa” che segnala gli ingorghi delle ore di punta? Ebbene sì. Se per noi gli itinerari migliori sono quelli dove si paga meno l’autostrada, per loro i preferibili sono quelli che evitano il mare aperto. Così se qualunque milanese sano di mente evita come la peste di passare per la BreBeMi, una cicogna assennata cercherà di evitarsi l’attraversamento di grandi territori privi di punti d’appoggio. In questo caso fungono da prodigiose basi le isole del Canale di Sicilia e del Tirreno. Oppure tratti di strada dove i segnali stradali sono più chiari. In questa prospettiva uno dei protagonisti della geografia del Nord Italia assume un ruolo di rilievo. Il corso del fiume Po per alcuni migratori si trasforma a tutti gli effetti in una strada, seguendo la quale, dall’alto, possono spostarsi e cogliere i luoghi di riferimento. Sembra capiti spesso che vi siano delle confluenze di interessi, per cui stormi diversi si trovino a passare nello stesso punto quasi simultaneamente, creando spettacoli meravigliosi. In Italia ancora una volta pare il Sud ad essere fortunato, in particolare lo stretto di Messina.
A che ora passa il treno? E chi arriva più in alto?
C’è chi preferisce viaggiare di notte, per le temperature più fresche e per evitare i predatori. Le allodole per non salutare i condomini impiccioni preferiscono la notte. Le rondini, che sono più amichevoli, fatta la revisione al mezzo, prediligono la partenza mattutina, per viaggiare con la luce. I falchi sono della stessa idea. Ma la gara del volo più in alto, tra i pennuti che lasciano l’Italia per il caldo meridionale, chi la vince? Cigni e oche, che arrivano fino agli 8mila metri. Nell’inverno del 1967 un aereo ha individuato sopra le isole Ebridi uno stormo di cigni svolazzarsela a un’altezza di 8230 metri. Certo su questo anche noi umani ci siamo prodigati, ma certo l’Everest non l’abbiamo raggiunto volando. Però chi non abbia ali, abbia piedi. Diceva un vecchio proverbio.
Migratori volatili e umani, percorsi paralleli
C’è un fatto interessante che lega le migrazioni degli uccelli a quelle degli esseri umani. Diversi studi, tra cui quello del progetto VERLAP, hanno evidenziato la comunanza di alcuni percorsi tra quelli dei migratori animali e dell’essere umano. Le rotte che si snodano da Mediterraneo, Africa centrale ed Europa del nord risultano essere molto simili tra le due specie. Le ricerche le ha fatte l’Istituto Superiore di Ricerca Ambientale, che ha elaborato la descrizione delle rotte che collegano Africa ed Europa nei percorsi degli uccelli migratori studiate dall’Osservatorio Faunistico del Parco Nazionale dell’Asinara. Ci si è resi conto della coincidenza incredibile tra queste mappe e quelle stilate dal Medu (Medici per i Diritti Umani), in relazione ai percorsi dei migranti umani che dai paesi del centro Africa si spostano verso l’Europa. Questo ovviamente stimola migliaia e migliaia di interrogativi. A cui, ovviamente, io non ho risposta.
La storia delle cicogne, tra fantasia e rotte interrotte
La vicinanza tra uomo e animale mi fa pensare a quella storia, quella sulle cicogne che portano i bambini e con le quali noi non sembriamo essere altrettanto gentili. Sembra infatti che i bracconieri ogni anno uccidano fino a 25 milioni di uccelli nell’area del bacino mediterraneo. Tra l’altro shame on us perché Plino il Vecchio (N.B. siamo nel I secolo d.C) raccontava che per alcuni popoli si arrivasse anche alla pena di morte per chi fosse sorpreso a uccidere una cicogna. Questo per questioni culturali o di superstizione, era vietato perché esse si nutrono di serpi salvando l’uomo dai loro spiacevoli attacchi. E poi, ad aggiungere noncuranza alla nostra già proverbiale cattiveria, ritorna la storia del buco dell’ozono, delle polveri sottili, degli sprechi energetici e di tutte quelle fantastiche cose che sono causa e motivo della comodità delle nostre abitazioni, ma distruzione per quelle di tutte le altre specie presenti sul pianeta.
Peraltro le cicogne ci rimettono in modo particolare. Proprio loro che contribuiscono al funzionamento della nostra specie portandoci i neonati! Ah e la storia che le cicogne portino i bambini pare essere particolarmente legata al tema del riscaldamento globale. La “leggenda” si diffuse tra i popoli centro europei nei secoli passati. Quando nasceva un bambino nelle case di campagna si accendeva più frequentemente il camino così le cicogne, quando in primavera tornavano dall’Africa in Europa, cercando un luogo caldo per creare il nido, si mettevano nei comignoli delle case di quelle famiglie che avevano avuto figli nel breve periodo e che, essendo più frequentemente accesi, restavano più caldi.
La presenza di una cicogna vicino a una casa si veniva allora a legare alla presenza di un neonato. A vedere bene, in questa prospettiva la mitica relazione pare essere inversa. Sono i bambini a portare le cicogne e non viceversa. Come dicevamo, comunque, calza a pennello l’immagine dei comignoli accesi di cui le cicogne pagano le amare spese. A causa del cambiamento climatico in atto negli ultimi anni, mentre noi stiamo seduti sul nostro divano a mangiare carne proveniente da allevamenti intesivi, un numero sempre più grande di cicogne non rientra in Africa in autunno. Insomma, gli rompiamo le rotte.
Un’altra leggenda lega le cicogne all’idea di pescare la vita dall’acqua, che è notoriamente simbolo di vita, per la loro tendenza a vivere in zone paludose.
Di curioso cosa c’è, alla fine di tutto questo? Il fatto che. gira che ti rigira, nel bene siamo simili a loro, nel male restiamo unici.
Fonti