“Da quella parte c’è il prossimo villaggio più vicino, a circa un chilometro, in corrispondenza del confine con il Malawi” mi dice Mr. Banta, indicandomi un punto impreciso tra i fitti alberi della giungla.
“E gli abitanti di quel villaggio sono del Malawi o dello Zambia?” chiedo io perplesso.
Mr. Banta ci pensa un attimo e poi, con la solita calma che contraddistingue molte delle persone che ho conosciuto a Chipata, mi risponde: “Difficile a dirsi, ma alla fine loro sono e rimangono Chewa”. I Chewa sono una delle tribù più numerose nella provincia di Chipata, la più a est dello Zambia, e, allo stesso tempo, la più numerosa di tutto il Malawi.
Io comunque rimango disorientato dalla risposta di Mr. Banta e la sera stessa inizio a cercare di approfondire, ma, come tutte le volte che cerco una risposta in Africa, finisco per trovare una domanda ancora più grande.
Nel mosaico di culture ed etnie che ancora adesso, dopo secoli di influenza e dominio europeo, troviamo in varie zone d’Africa, come declinare il concetto, così europeo, di un “confine ufficiale” tra due Stati? In momenti come questi mi ritornano in mente vaghe memorie di lezioni scolastiche di geografia e immagini offuscate del planisfero che sta appeso, a Milano, in camera mia.
Quella parte delle mie reminiscenze che sento più affidabili, mi dicono che nelle regioni centrali dell’Africa spesso i confini politici mi paiono tracciati grossolanamente, estesi in lunghe linee immaginarie, che attraversano, per chilometri e chilometri, deserti, giungle e savane.
I confini attuali tra Zambia e Malawi riprendono quelli che erano stati tracciati nel definire i Protettorati di Rhodesia Settentrionale e Meridionale. Un protettorato non era altro che una regione di un nuovo continente che, dopo essere stata scoperta, veniva affidata, spesso per fini commerciali, ad un “protettore”, che in questo caso era l’inglese Cecil Rhodes.
Questi, considerato pioniere dell’imperialismo britannico, aveva, a tutti gli effetti, fondato una colonia personale che, ovviamente, chiamò Rhodensia. Questa, nel 1923, fu annessa all’impero Britannico come territorio facente parte del Commonwealth. Questi confini fisici, sui quali vennero ricalcati quelli di Zambia e Malawi, furono essenzialmente definiti nella conferenza di Berlino del 1884, alla quale parteciparono le grandi potenze coloniali europee.
Ma questa divisione astratta, scritta e siglata in un’elegante stanza nel centro di Berlino, riguardava popoli ed etnie che vivevano dall’altra parte del mondo e che non erano minimamente al corrente di quello che gli europei stavano decidendo per loro.
Quello stesso giorno, dopo la riunione serale con gli altri collaboratori della ONG, mi fermo, come al solito, nella veranda. Con me c’è anche Enrico, che vive e lavora nel distretto di Chipata da più di vent’anni, ne approfitto per chiedergli di più sull’argomento.
Lui mi racconta che nel distretto di Chipata si trovano principalmente quattro tribù: i Chewa, i Tumbuka, i Ngoni e i Nsenga. Le prime tre di queste si trovano anche in Malawi.
Nello specifico, i Chewa sono l’etnia principale del Malawi e allo stesso tempo del distretto di Chipata in Zambia, solo che qui vengono più comunemente definiti come Nyanja.
Da qui capiamo perché esistono due dialetti, del tutto simili tra di loro, parlati nelle due diverse nazioni, il Cinyanja nello Zambia, che significa “la lingua del lago”, in riferimento al Lago Malawi, e il Chichewa nel Malawi, che significa semplicemente “lingua dei Chewa”.
Per varie influenze nel corso dei secoli, questa lingua ora non è parlata solo dai Chewa, ma anche da varie diverse entie della zona come i Ngoni e i Kunda.
“Quanta differenza c’è tra i diversi dialetti di cinyanja?” chiedo incuriosito.
“Decisamente poca. Un chewa del Malawi che attraversa il confine e arriva in un villaggio zambese può comunicare perfettamente con gli abitanti. Infatti il villaggio accetterà o meno la presenza dell’ospite in base alle tradizioni locali, esattamente come se lui arrivasse da un villaggio di Chipata.”
Tempo dopo mi ritrovo a dover passare la frontiera tra Zambia e Malawi, attraversando la dogana per il controllo dei passaporti.
La realtà che trovo lì è decisamente diversa da quella vista in altri punti del confine.
Militari che controllano ogni auto e un’attesa infinita per ottenere un visto di transito sono all’ordine del giorno. Le bandiere dei due paesi sventolano speculari, ostentando una fiera differenza tra i due popoli che è artificiale ed effimera, ma che alla fine è stata inculcata a fondo in alcuni componenti delle popolazioni.
Mentre risalgo in macchina per partire in direzione aeroporto, rifletto su come il fatto di inserire confini politici, che comportano la creazione di una frontiera in un mondo dove le barriere tra diverse etnie e tribù rimangono tutt’ora malleabili e poco definite, comporti uno stravolgimento della società del luogo, nel tentativo di far coincidere due concezioni di vita diametralmente opposte.
Se da una parte tra Malawi e Zambia esiste una frontiera, con severi controlli al passaggio della dogana, dall’altra i componenti delle tribù, che vivono nella zona di confine, attraversano abitualmente a piedi questa linea ipotetica di separazione, tanto aliena al loro concetto di società.